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11 settembre 2001: diciotto anni e centinaia di migliaia di morti fa…

Quell’attentato ha cambiato il corso della storia, ma anche le nostre vite. La risposta al terrorismo è stata una guerra contro tutti e nessuno.

Oggi il mondo commemora l’attentato più mediatico della storia, quello dell’11 settembre. Una strage che ha cambiato la vita di tutti noi, immergendoci in una guerra globale senza fine, senza prospettive, senza giustificazioni, senza nemici, dove tutti sono nemici invisibili. La guerra del terrore diffuso a macchia d’olio.
Commemorazioni, lacrime, eroismo, immagini. Sono passati quindici anni da quell’11 settembre e centinaia di migliaia di morti. Non possiamo dimenticarlo, perché la storia si fa analizzando le cause, affondando nel tempo più lontano possibile le analisi, ma anche osservando le conseguenze delle azioni.

E quell’11 settembre va analizzato per le migliaia di morti in quel giorno, per il drammatico mediatico effetto di quegli attacchi, e anche per i risultati incerti a drammatici delle guerre scatenate da allora contro il terrorismo. Guerre scatenate da leader che la storia consacrerà come imbecilli, come ottusi e reazionari.
Da principio fu l’Afghanistan. La guerra di vendetta. Passati tanti anni possiamo dire con certezza che questa terra oggi, migliaia di morti e migliaia di miliardi di dollari dopo, è peggio di prima. Una democrazia esportata col piombo non ha certo attecchito, anzi ha causato altre e più feroci azioni, vendette, ripercussioni internazionali.

Ne parliamo oggi, portando il lutto anche per un’altra vittima di quell’attentato: il giornalismo. Da quel momento non ci sono più stati sconti. Il ruolo dei media è stato determinante per declinare nell’opinione pubblica la follia dei mentecatti di governo, dei vendicatori senza principi. Scriveva Ennio Remondino, ai tempi inviato di guerra che il giornalismo è stato carnefice e vittima di questo circuito perverso: “Scrivi sul giornale e, come leggenda vuole il tuo sforzo servirà a incartare l’insalata. Parli in televisione e ti riconoscono dal verduraio. Nel giornalismo attuale ogni tromba che chiama all’assalto vuole un suo trombettiere. La questione se sia la guerra a corrompere l’informazione o se, viceversa, sia l’informazione satura di volontari a dare i peggio di sé, somiglia all’eterno litigio sul primato fra uovo e gallina”.

Quindici anni dopo, stiamo parlando non solo dell’11 settembre, ma della risposta attuata dal più deriso dei presidenti americani, da un bamboccione autore della più devastante strategia politica mai messa in atto negli Usa dalla Dichiarazione di Indipendenza a oggi. Noi pensiamo a Bush jr come al peggior presidente mai visto alla Casa Bianca, ma non era solo. Era solamente l’aspetto esteriore di un sistema che sull’emergenzialismo e sul terrorismo ha fatto profitti: un’amministrazione senza scrupoli, guidata dagli interessi del petrolio e delle armi.

Un gruppo di potere formato da affaristi e militari, supportato politicamente e mediaticamente senza alcuna opposizione critica e ragionevole. Per titoli ricordiamo le sciocchezze memorabili: la pistola fumante, le armi di distruzione di massa, le false prove imposte alle opinioni pubbliche di tutto il mondo piegando parlamenti, istituzioni, media a una logica di guerra infinita, continua e ovunque che ha sospeso i meccanismi di controllo e il dovere di rispetto dei cittadini che stanno alla base delle democrazie.

Basta citare Guantanamo. Oppure il tragico Patriot Act, lo strumento istituzionale della sospensione dei principi costituzionali negli Stati Uniti che ha creato censure e intimidazioni, applicazione da parte di servi sciocchi, per devastare le società e le menti. Basta guardare uno qualsiasi dei filmetti delle serie tv americane per capire che sono infarcite da questa comunicazione assurda e schematica: il mondo assedia gli Usa, per difendersi i diritti vanno limitati e la tortura può essere sdoganata.
Dopo l’11 settembre, negli Usa i giornalisti scomodi sono spariti, accantonati o messi alla porta nella nuova furiosa crociate che da un lato aveva bisogno solo di media compiacenti, dall’altro approfittava del terrore per diminuire livelli di democrazia e minare ogni forma di dissenso. Da sempre il potere usa la paura per spegnere ogni richiesta di diritti e di giustizia sociale. Negli Usa è stato chiaro. A Londra Tony Blair – ricordate? – ha decapitato i vertici della Bbc, colpevoli di aver denunciato l’inconsistenza della tesi delle armi di distruzione di massa in mano a Saddam.

Ha scritto su Globalist Stefano Marcelli: “Per chi lavora nei media, questo anniversario dovrebbe segnare il tempo di un’analisi autocritica onesta. Questi anni di guerra hanno coinciso anche con l’avanzare di una crisi senza precedenti nel settore dell’informazione: i posti di lavoro già tagliati di qua e di là dell’Atlantico si contano già in decine di migliaia. E l’ammontare delle risorse pubblicitarie che alimentano il sistema dei media continua a ridursi. Questo rende naturalmente più debole l’indipendenza delle testate rispetto non solo ai governi, ma in prima battuta rispetto ai potentati economici e finanziari. Se molti media hanno la responsabilità di aver propagandato le bugie sulla guerra in Iraq, hanno anche la colpa di aver sostenuto la piratesca politica finanziaria di banche e agenzie di raiting che ha prodotto la più grave crisi economica internazionale dopo quella del ’29.

Sarebbe ora il caso di ripulire gli strumenti e rimetterci a fare davvero il nostro mestiere raccontando la società, i problemi della gente (ciao, vecchio Curzi !), i misfatti di politici e finanzieri. Prima che tutto precipiti e sia troppo tardi. Sì, via George W. Bush, ma anche tutte le scorie pesanti che in questi anni hanno contaminato noi e le nostre democrazie”.

Video: https://www.youtube.com/watch?v=yDcyitIvfUI

www.globalist.it

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