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Congo, cobalto e coltan: le C della conquista e il nuovo oro delle milizie

Congo, cobalto e coltan
Il Congo produce oltre il 60% di ‘cobalto’ in circolazione nel mondo, minerale indispensabile nella costruzione di telefonini e batterie di auto elettriche. Il coltan è minerale da cui si ottiene il tantalio, metallo raro essenziale per la produzione missilistica e nucleare e per il settore aerospaziale, recente ambitissimo anche dai produttori di telefonia mobile. Oltre alle ricchezze di sempre. Il sottosuolo del Congo è ricco fra l’altro anche di petrolio, oro, argento, uranio. Ma è con l’aumento della richiesta mondiale di tantalio che si è fatta più accesa la lotta fra gruppi para-militari e guerriglieri per il controllo dei territori congolesi di estrazione.


Il paradiso naturale del Kivo
Un’area particolarmente interessata e ricca di coltan è proprio la regione del Kivu dell’agguato mortale ai nostri due concittadini. Ma è da un ventennio che rapporti Onu denunciano come il commercio semilegale di coltan e di altre risorse naturali pregiate stiano alimentato la guerra civile fatta di vari conflitti regionali che tra il 1996 e il 2003, proprio nell’est del paese, provocò la morte di milioni di persone soprattutto di fame e malattie. Uno sfruttamento del sottosuolo di cui fanno le spese anche un elevato numero di bambini-minatori, spinti o costretti ad esempio ad estrarre in condizioni disumane il cobalto utilizzato dai più noti marchi tecnologici e automobilistici, come denunciato più volte da Amnesty International.

Nell’inferno di coltan e cobalto
Il cobalto è uno degli elementi essenziali su cui noi occidentali ricchi puntiamo per la svolta green, il futuro a batteria. In Congo per estrarlo ci lavorano quasi 300mila minatori “artigianali”, lavoratori a cottimo tra cui circa 35mila sono bambini in condizioni di schiavitù, «prediletti per la loro agilità ed energia in cunicoli soffocanti, spesso trasformati in trappole mortali dagli allagamenti», denuncia Francesca Salvatore su InsideOver. Meno di un dollaro al giorno dai trader stranieri. E se più del 60% della fornitura mondiale di cobalto viene estratto in Congo, almeno il 20% di questa fornitura è estratta da gente del posto e a mano, il resto è prodotto da miniere industriali gestite da società straniere in seguito al crollo dell’azienda mineraria statale, Gécamines.

Il coltan tra cellulari e computer
Anche il coltan si estrae a mani nude per più di dieci ore al giorno: un’attività sfiancante che lede polmoni e sistema linfatico dei più piccoli. «Una giornata di lavoro vale 1/2 $ a seconda dell’età del bambino per scendere fino a 0,50 $ nelle cave illegali: e si tratta di cifre lorde poiché questi “salari” includono anche le somme che i piccoli minatori sono costretti a versare alla banditaglia che sorveglia la miniera e che si macchia spesso di abusi sessuali nei loro confronti». Il coltan passa, poi, prima per le mani di soldati e mercenari, almeno fino al confine con il Ruanda e l’Uganda; in seguito, viene ceduto alle compagnie di import/export per poi passare alle maggiori compagnie che trattano la raffinazione in Germania, Cina e Stati Uniti: infine, giunge nelle catene di montaggio delle grandi multinazionali dell’elettronica.

Un’ economia violenta
Il Kivu del nord, durante la lunga presidenza del dittatore Mobutu, ha mantenuto pressoché integri fino alla fine del secolo scorso i depositi minerari di cui dispone. E ora quelle immense nuove ricchezza scatenano le bramosie del mondo. Il capitalismo d’assalto delle multinazionali, e i gruppi armati su territori, di fatto -piaccia o non piaccia- al loro servizio. Oro, diamanti, avorio, legname pregiato ma soprattutto cobalto e coltan. Tutt’attorno, una complessa rete di gruppi militari, paramilitari, deboli strutture statali e committenti internazionali.


Ed ecco il Congo bersaglio da ogni genere di dramma: emergenze sanitarie come l’Ebola, guerre intestine, banditismo e perfino la penetrazione dell’ISIS

REMOCONTRO

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