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Covid-19, cosa rischia l’Africa

di Mario Giro

In Africa il Ruanda è l’unico Paese in lockdown totale che ha adottato le medesime regole europee. L’imposizione è talmente severa che la polizia ha sparato uccidendo due persone che non rispettavano l’obbligo di stare in casa. Il Paese ha ancora poche decine di positivi al coronavirus, ma può tentare di contenerlo grazie alla sua recente modernizzazione. Lo smart working è già pratica corrente e le lezioni online possibili, visto che il territorio è ben cablato. Salvo alcune altre città africane, si tratta dell’unico caso di questo tipo in tutto il continente, Sudafrica incluso. Tra l’altro la sanità ruandese ha messo sotto contratto Babylon, l’agenzia internazionale privata che offre servizi di sanità online e di auto-medicina, un modo per non ingorgare gli ospedali, anche se molti sospettano che sia un cavallo di Troia per la completa privatizzazione.

A parte l’eccezione ruandese, il resto dell’Africa è in ritardo e prende ancora tempo: molti Paesi hanno chiuso le frontiere e impedito i viaggi, mettendo in quarantena chi arriva da fuori. Tuttavia all’interno si impone solo un generico coprifuoco notturno e si permettono ancora assembramenti fino a 30-50 persone. Mancano del tutto sistemi di protezione, come le mascherine e i disinfettanti. Di quest’ultimo problema stanno occupandosi i cinesi, che fanno giungere nel continente aiuti atti a dimostrare la loro solidarietà. Si tratta di invii sia dallo Stato cinese che dai privati, come il miliardario Jack Ma – proprietario di Alibaba – che ha fatto giungere all’Etiopia oltre 5 milioni di mascherine e un milioni di kit per fare i tamponi assieme ad altri presidi sanitari. È un inizio, ma è facile intuire che da Pechino arriveranno aiuti a pioggia, un modo per aumentare la propria influenza e per contrastare l’idea del “virus cinese”.

In effetti molti africani ancora non percepiscono il pericolo che incombe su di loro e sovente pensano che si tratti di una questione cinese o occidentale. Numerosi sono coloro che accusano gli stranieri di aver importato il virus sul continente. Rumors di ogni genere circolano ovunque a tale riguardo e in Etiopia c’è stato anche qualche caso di “caccia all’untore”. L’aspetto più negativo sono le fake news sulle possibili cure tradizionali o “africane”, come il fatto che basti la clorochina (un antimalarico basico) per bloccare il virus. Spesso sui social rimbalzano tutorial di ricette casalinghe, tipo suffumigi e fumenti, per prevenire il contagio. È il momento dei grandi affari per le sette: propalare informazioni false per dare una falsa idea di sicurezza o un’apparente consolazione alle popolazioni.

Il lato economico della crisi da coronavirus è un altro aspetto preoccupante per l’Africa: con la gran parte delle attività nel settore informale e precario, il blocco del commercio e la chiusura dei mercati provoca un colpo durissimo alla maggioranza della popolazione, che rimane così senza alcuna forma di reddito. Soltanto gli impiegati pubblici, assieme ai rari occupati dal settore formale provvisti di contratto, potranno cavarsela. I governi non sanno ancora come affrontare questo tipo di situazione che rischia di durare a lungo.

La buona sanità in Africa è tutta privata: quella pubblica manca di tutto e normalmente per essere ricoverati occorre portarsi da casa anche le lenzuola e pagare ogni intervento medico o infermieristico. La crisi darà agli africani l’opportunità di ripensare l’intero sistema sanitario, ma sul breve periodo non ci sarà nessun aiuto per chi dovesse ammalarsi. L’unica consolazione è che la popolazione è per lo più giovane e potrebbe avere un livello di resilienza maggiore. Ciò potrebbe dare il tempo alle autorità per reagire.

www.africarivista.it

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