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I migranti, la Libia e il vulnus antidemocratico ai diritti della stampa libera

di Antonella Napoli

Indagini forzate nella ricerca spasmodica di verità distorte da narrazioni tossiche di una certa area politica, il segreto professionale violato, giornalisti intercettati con nomi delle fonti inserite negli atti.
Tutto ciò non è accettabile in un paese che si definisce democratico.
Ciò che emerge dall’inchiesta della procura di Trapani sui rapporti tra ong e giornalisti in merito alla questione migranti e sul tema “Libia” è inquietante.

Anche se un giornalista è consapevole che quando va su un posto, documenta, racconta storie e fatti scomodi, possa diventare un bersaglio, come io stessa ho sperimentato sulla mia pelle, ciò che emerge dalle intercettazioni del caso Trapani sconcerta.
Cronisti seri, come Nancy Porsia, Nello Scavo, Francesca Mannocchi, Sergio Scadura e altri colleghi che hanno realizzato inchieste sui migranti, tra cui chi scrive anche se in forma indiretta, sono stati a lungo intercettati
In particolare, la Porsia si è ritrovata al centro del dossieraggio di una società di security, acquisito dalla procura di Trapani, per ciò che ha scritto e continua a scrivere sul tema delle migrazioni.

Un vero e proprio tentativo di imbavagliare la stampa libera che se ne occupa, unico baluardo contro le narrazioni tossiche che invadono i media italiani che nonostante le costanti, anzi in aumento, minacce in rete – e non solo – contro chi illumina e mostra quanto accade nel Mediterraneo e nel continente africano, cronisti e croniste che proseguono sulla loro strada portando avanti un lavoro inestimabile.

È inaccettabile che queste intercettazioni, di per sé lesive dell’art. 200 del Codice di procedura penale e dell’articolo 138 del Codice della Privacy, nonché dell’articolo 2 della legge 69/1963 che tutela e stabilisce anche l’obbligo dei cronisti di proteggere fonti e informazioni di cui vengono in possesso, siamo state realizzate da “operatori privati” e poi recepite dai corpi inquirenti, entrando a far parte di un fascicolo giudiziario, che almeno nelle intenzioni di chi ha avviato l’inchiesta avrebbe dovuto ricostruire un presunto complotto dove in realtà si assisteva all’azione di salvataggio e assistenza di vite umane e allo svolgimento del lavoro giornalistico di verifica dei fatti sul campo

L’inchiesta è iniziata nel 2016, nel contesto delle indagini della Procura di Trapani su ong e favoreggiamento all’immigrazione clandestina dalla Libia.
Almeno cinque giornalisti sarebbero stati intercettati e le loro conversazioni, anche quelle inerenti fatti personali, sono state trascritte dagli inquirenti.
Condividiamo il timore espresso dal segretario della Federazione nazionale della stampa Raffaele Lorusso il quale ha evidenziato il ‘timore’ che questa operazione fosse nata per individuare le fonti dei giornalisti, sottolineando che si tratta di “un atto gravissimo: “Inammissibile che operatori della stampa siano intercettati mentre fanno il loro lavoro”.
Nell’attesa che le autorità giudiziarie facciano chiarezza sulla vicenda, un fatto è certo.

Questo ennesimo tentativo di imbavagliare la stampa libera che si occupa di immigrazione e del traffico di esseri umani dalla Libia e da altri paesi africani, tra cui Focus on Africa (qui trovate il webinar su questi temi realizzato, tra gli altri, proprio con Nancy Porsia), unico baluardo contro le narrazioni tossiche che invadono i media italiani, non ci impedirà di continuare a fare il nostro lavoro.
Nonostante le costanti minacce in rete – e non solo – contro chi illumina e mostra quanto realmente accade nel Mediterraneo e nel continente africano, cronisti e croniste nel mirino di squadristi da tastiera e sovranisti nostrani proseguono sulla loro strada portando avanti con determinazione un lavoro necessario e inestimabile.

Focus on Africa

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