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Il Papa: l’ira di Dio contro chi vende armi…

Nell’udienza alla Roaco, organismo che aiuta le Chiese orientali, la denuncia dell’ipocrisia di chi parla di pace e poi promuove la guerra. La speranza di andare in Iraq l’anno prossimo.

di Riccardo Maccioni

È uno sguardo sull’umanità ferita quello che ispira il discorso rivolto dal Papa alla 92ª Riunione delle opera di aiuto alle Chiesa orientali (Roaco), che si svolge in sede plenaria.

La grande ipocrisia



Negli occhi innanzitutto «il dramma della Siria e le dense nubi che sembrano riaddensarsi su di essa» mentre cresce il rischio dell’aggravarsi della «crisi umanitaria» in cui «quelli che non hanno cibo, quelli che non hanno cure mediche, che non hanno scuola, gli orfani, i feriti e le vedove levano in alto le loro voci». Durissima a questa proposito la denuncia del Papa: «Tante volte penso all’ira di Dio che si scatenerà con quelli responsabili dei paesi che parlano di pace e vendono le armi per fare queste guerre: questa è ipocrisia, è un peccato».
Doloroso ma colorato anche di speranza è invece il pensiero all’Iraq dove Francesco spera di andare l’anno prossimo, una realtà in cui cresce la fiducia nella «pacifica e condivisa partecipazione alla costruzione del bene comune di tutte le componenti anche religiose della società».

Speranza per la Terra Santa

Nelle parole del Pontefice poi la sofferenza per l’Ucraina e la nuova speranza per la Terra Santa dove il recente annuncio di una seconda fase di studio dei restauri del Santo Sepolcro ci si augura possa accompagnare «gli sforzi sinceri di tutti gli attori locali ed internazionali» per arrivare presto «a una pacifica convivenza nel rispetto di tutti coloro che abitano quella Terra, segno per tutti della benedizione del Signore».
E se c’è un dato comune a tutte queste situazione, questo è il grido delle «persone in fuga ammassate sulle navi, in cerca di speranza, non sapendo quali porti potranno accoglierli, nell’Europa che però apre i porti alle imbarcazioni che devono caricare sofisticati e costosi armamenti, capaci di produrre devastazioni che non risparmiano nemmeno i bambini. Siamo qui consapevoli – spiega Francesco – che il grido di Abele sale fino a Dio, come ricordavamo proprio a Bari un anno fa, pregando insieme per i nostri fedeli in Medio Oriente».

Educare i giovani alla fratellanza
Eppure insieme al lamento e al pianto in questi giorni sale la voce della speranza alimentata da un’instancabile opera di carità svolta dalla Chiesa che contribuisce in particolare ad alimentare la speranza per le giovani generazioni. Di qui l’invito a «proseguire e aumentare l’impegno perché nei Paesi e nelle situazioni che sostenete i giovani possano crescere in umanità, liberi da colonizzazioni ideologiche, con il cuore e la mente aperti, apprezzando le proprie radici nazionali ed ecclesiali e desiderosi di un futuro di pace e di prosperità, che non lasci indietro nessuno e nessuno discrimini». La via da seguire è quella della fratellanza, come indicato dal documento sottoscritto ad Abu Dhani insieme al grande imam di Al-Azhar. Una strada che quest’anno ha portato i giovani di Etiopia ed Eritrea – dopo la tanto sospirata pace tra i due Paesi – a sentire vere la parole del salmo 30: «Hai mutato il mio lamento in danza».
Come noto la Roaco (Riunione opere aiuto Chiese orientali) è un Comitato che riunisce tutte insieme le agenzie-opere di vari Paesi del mondo, che s’impegnano al sostegno finanziario in vari settori, dall’edilizia per i luoghi di culto, alle borse di studio, dalle istituzioni educative e scolastiche a quelle dedite all’assistenza socio-sanitaria.

www.avvenire.it

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