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La Spoon River del Mediterraneo: per chi vuole “restare umano”

Migranti ridotti in schiavitù

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) in Libia e in Niger ha raccolto orribili storie accadute lungo le rotte migratorie del nord Africa, racconti che parlano di un “mercato degli schiavi”

di Umberto De Giovannangeli

Non sono numeri. Sono persone. Con una storia da raccontare. Non sono “migranti”, sono esseri umani ai quali è stata tolta la dignità, e a molti, la vita. Storie di violenze indicibili, di degrado disumano. Storie che vanno lasciate cadere nell’oblio. E se ciò è possibile è grazie allo straordinario lavoro quotidiano sul campo, a difesa dei più indifesi, svolto da quel mondo solidale, fatto di Ong e agenzie Onu, che i cialtroni di casa nostra cercano tutti i giorni di criminalizzare.

Lo staff dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) in Libia e in Niger ha raccolto orribili storie accadute lungo le rotte migratorie del nord Africa, veri e propri racconti che parlano di un “mercato degli schiavi” che affligge centinaia di giovani africani che si recano in Libia. Nello specifico, i funzionari dell’Oim di Niamey hanno condiviso la testimonianza di SC, un migrante senegalese che questa settimana tornerà a casa dal Niger dopo mesi di prigionia in Libia.

La storia di SC

SC ha raccontato di aver viaggiato dal Senegal fino ad Agadez, dopo ha dovuto corrispondere ad alcuni trafficanti l’equivalente di circa 320 dollari per poter raggiungere la Libia a bordo di un pick-up. I due giorni di viaggio nel deserto sono andati abbastanza bene rispetto a quanto succede a molti migranti: l’Oim ha infatti sentito di molti casi in cui i migranti sono abbandonati dopo esser caduti dal camion, o in cui i migranti sono stati assaliti da banditi lungo il percorso.

La storia di SC è stata diversa: una volta arrivato a Sahba – sud ovest della Libia – il ragazzo è stato accusato dal conducente del pick-up di non aver mai pagato la somma pattuita dal trafficante, ed è stato portato insieme a tutti gli altri compagni di viaggio in un’area di parcheggio dove ha potuto assistere a un vero e proprio “mercato degli schiavi”.

“In quel luogo migranti subsahariani erano venduti e comprati da libici, con il supporto di persone di origine ghanese e nigeriana che lavoravano per loro”, spiega lo staff Oim.

SC ha raccontato di essere stato “comprato” e di essere stato trasferito nella sua prima prigione, una casa privata dove oltre 100 migranti erano tenuto come ostaggi. In quel posto, i rapitori costringevano i migranti a chiamare le loro famiglie a casa, e spesso erano picchiati durante la telefonata proprio per fare sentire ai loro cari le torture subite.

A SC è stato chiesto di pagare 300.000 franchi CFA (circa 480 dollari). Soldi che non aveva. E’ stato quindi “comprato” da un altro libico, che lo ha portato in una casa più grande, dove è stato fissato un nuovo prezzo per il suo rilascio: 600.000 franchi CFA (970 dollari), da pagare tramite Western Union o Money Gram a una persona chiamata “Alhadji Balde’, basata in Ghana.

SC è riuscito a raccogliere qualche soldo grazie all’aiuto ottenuto dalla famiglia e ha lavorato come interprete per i rapitori, in modo da evitare ulteriori torture. Le condizioni sanitarie erano spaventose e il cibo veniva dato solo una volta al giorno. Alcuni migranti che non erano in grado di pagare erano uccisi o lasciati morire di fame.

SC ha riferito all’Oim che quando qualcuno moriva o veniva rilasciato, i rapitori tornavano al mercato per “comprare” altri migranti. Anche le donne erano comprate – apparentemente da persone di nazionalità libica – e portate in abitazioni dove erano costrette a diventare schiave sessuali.

“Negli scorsi giorni”, racconta un funzionario dell’Oim Niger, “ho parlato con molti migranti di queste storie, che di solito raccogliamo nei centri di transito di Agadez e Niamey, dove i migranti passano di ritorno dalla Libia. Tutti quanti confermano il rischio di essere venduti come schiavi in piazze o in altri luoghi a Sabha, sia dai conducenti dei pick-up, sia da persone del luogo che dapprima assumono i migranti per lavoretti giornalieri e poi, invece di pagarli, li vendono a nuovi compratori.”

Alcuni migranti – in particolar modo nigeriani, ghanesi e gambiani – sono costretti a lavorare per i rapitori come guardie delle case di detenzione o negli stessi ‘mercati’”.

Ai racconti dell’Oim Niger si aggiungono le testimonianze raccolte dallo staff Oim in Libia.

La storia di Adam

Tra queste la storia di Adam, rapito insieme ad altri 25 connazionali del Gambia mentre da Sabha si dirigeva verso Tripoli. Anche in questo caso i prigionieri erano picchiati ogni giorno e costretti a chiamare le loro famiglie per chieder loro di pagare un riscatto. Adam è riuscito a versare la somma richiesta solo dopo 9 mesi: soldi che i suoi parenti hanno potuto raccogliere solo vendendo la casa di famiglia.

A quel punto il giovane è stato portato a Tripoli, dove una persona lo ha trovato per strada in condizioni di estrema difficoltà e lo ha portato all’ospedale. Lì la sua foto è stata postata su Facebook e a quel punto l’Oim ha inviato lì un proprio medico per farlo visitare. Ci sono volute 3 settimane di ricovero per farlo riprendere: al momento dell’ospedalizzazione pesava 35 chili e presentava serie ferita da tortura.

L’Oim ha in seguito trovato una famiglia disposto ad ospitarlo per un mese e, dopo un percorso di recupero, è stato possibile inserirlo in un programma di ritorno volontario. Il 4 aprile è tornato in Gambia, accompagnato da un medico dell’organizzazione, ha potuto incontrare la sua famiglia ed è stato portato in un altro ospedale per un ulteriore periodo di cure, pagate da OIM Libia, che fornirà al ragazzo anche un aiuto economico per la reintegrazione nel Paese di origine.

Un altro caso di cui l’Oim è venuta a conoscenza riguarda una giovane ragazza tenuta prigioniera da rapitori somali in una sorta di capannone situato non lontano dal porto di Misurata. Pare sia stata tenuta reclusa per almeno 3 mesi e che sia stata vittima di stupri e violenze fisiche. Il marito e il figlio, che vivono in Gran Bretagna dal 2012, hanno ricevuto richieste di soldi per la sua liberazione.

Il marito è riuscito a pagare tramite la sua famiglia e membri della comunità somale la somma di 7.500 dollari, ma gli è stato appena chiesto di effettuare un secondo pagamento della stessa cifra.

“La situazione è disperata”, denuncia Mohammed Abdiker – Direttore del Dipartimento per le Operazioni e le Emergenze dell’Oim – tornato di recente da una missione a Tripoli.

“Più l’Oim si impegna in Libia e più ci rendiamo conto di come il paese sia una vera e propria valle di lacrime per i migranti. Alcuni racconti sono veramente terribili e le ultime testimonianze relative a un “mercato degli schiavi” si aggiungono a una lunga lista di efferatezze”.

Abdiker ha raccontato che negli ultimi mesi lo staff Oim ha potuto avere accesso ad alcuni centri di detenzione in Libia e cerca di migliorarne le condizioni. “Sappiamo che i migranti che cadono nelle mani dei trafficanti sono costretti a vivere in uno stato di grave malnutrizione e ad affrontare abusi sessuali. A volte rischiano anche di essere uccisi. L’anno scorso, in un solo mese, 14 migranti sono morti in uno di questi posti a causa di malattie e malnutrizione. Ci giungono anche notizie della presenza di fosse comuni nel deserto”.

Ed ora la situazione è resa ancor più drammatica dalla pandemia virale che ha investito anche la Libia.

“I migranti che vanno in Libia nel loro percorso verso l’Europa non hanno idea dell’inferno di torture che li aspetta una volta passato il confine libico”, afferma Leonard Doyle, Portavoce dell’Oim a Ginevra. “In Libia diventano ‘merce’ da comprare, vendere e gettare via quando non ha più valore”.

“Proprio per far sì che questa realtà sia conosciuta in tutta l’Africa, stiamo registrando testimonianze di migranti che sono passati per queste terribili esperienze e le stiamo diffondendo sui social media e sulle radio. I testimoni più credibili di queste sofferenze sono spesso proprio i migranti che tornano a casa con il sostegno dell’Oim. Purtroppo sono molto spesso traumatizzati e vittime di abusi, spesso sessuali. La loro voce ha un peso e un significato speciale, che nessun’altra persona può avere”.

Ossama prison

Tra le ultime testimonianze raccolte, il team di Medici per i diritti umani ha incontrato in un centro a Ragusa uno dei naufraghi che ancora una volta racconta la sua testimonianza dall’inferno libico:

“Sono stato a Ossama prison per un mese circa, nel periodo del Ramadan di quest’anno. Lì dentro è Osama che comanda: lui tortura in prima persona e fa torturare, beve spesso e bestemmia. Ci sono poi le guardie libiche, armate di kalashnikov, ma anche alcuni prigionieri del sub-sahara vengono utilizzati come aiuto-guardie: fanno un po’ di tutto, dalle pulizie alla distribuzione del cibo. Loro hanno il permesso di picchiare altri prigionieri anche se non gli vengono date armi, usano bastoni o altri oggetti. A Tripoli sono le milizie a rapirti e poi contattano le mafie (termine usato dai migranti per indicare gruppi criminali) le quali ti comprano e poi ti rinchiudono in magazzini nel deserto per chiederti il riscatto in cambio della liberazione. Ogni zona ha la sua milizia ma tutte sono vestite con divisa militare e collaborano con il governo. Tutti qui abbiamo tentato la traversata più di una volta ma la guardia costiera libica ci ha sempre riportato indietro. A volte la Guardia costiera stessa ti chiede soldi, prima di riportarti in prigione: chiedono 1000 euro altrimenti ti dicono che farai un anno di prigione. So di una persona che ha pagato il giudice 1500 dinari per non finire in prigione”.

Nonostante le molteplici richieste, le autorità libiche non hanno fornito alcuna informazione su dove si trovino con esattezza queste persone o perché siano state portate in strutture di detenzione non ufficiali.

“La mancanza di chiarezza sulla sorte di queste persone scomparse è una delle preoccupazioni più gravi”, afferma una portavoce dell’Oim, Safa Msehli. “Siamo a conoscenza di molte testimonianze di abusi che si verificano all’interno dei sistemi di detenzione formali e informali in Libia“.

L’Oim chiede al governo libico di chiarire che fine abbiano fatto tutti coloro di cui non si ha più notizia e di porre fine alla detenzione arbitraria. Lo smantellamento di questo sistema deve essere una priorità così come è necessario stabilire alternative che garantiscano minimi standard di sicurezza per i migranti.

L’Oim è allarmata dal deterioramento della situazione umanitaria in Libia e ribadisce che è inaccettabile che le persone soccorse in mare vengano riportate in un contesto in cui si combatte e in cui diventano vittime di abusi e di traffici. L’Organizzazione ribadisce inoltre il suo appello all’Unione Europea affinché si stabilisca con urgenza un meccanismo di sbarco chiaro e rapido per porre fine al ritorno coatto dei migranti in Libia.

Ricordiamo agli Stati che salvare vite umane è la priorità numero uno e che occorre sempre rispondere alle richieste di soccorso, così come stabilito dal diritto internazionale. Il Covid-19 non deve essere una scusa per non ottemperare a diritti internazionali duramente conquistati e a quegli obblighi che gli Stati hanno nei confronti delle persone vulnerabili”, rimarca l’Oim in un comunicato ufficiale. Ma dalle parti di Palazzo Chigi o della Farnesina non l’hanno letto. Non avevano tempo o interesse, tanto a fare il lavoro sporco ci pensa quell’associazione a delinquere denominata Guardia costiera libica, che l’Italia continua a finanziare.

Globalist

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