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“L’Africa è la pattumiera elettronica del mondo”

Agbogbloshie, Accra (Ghana, Africa – Getty Images)

Secondo i dati Oni, solo il 17% dei rifiuti elettronici di Europa o Usa viene raccolto e riciclato correttamente, tutto il resto spesso è diretto nel continente africano, dove i Paesi occidentali scaricano scarti elettronici di ogni tipo. E a pagare questo “razzismo ambientale” sono le popolazioni più povere. L’appello per “un tribunale internazionale che si esprima su rifiuti tossici, elettronici e scrimini correlati”

di Giacomo Talignani

Ogni volta che diciamo addio al nostro vecchio telefonino, alla nostra obsoleta stampate o al datato monitor di un pc, fermiamoci un secondo a pensare a che fine faranno. Li abbiamo portati in posti in cui saranno smaltiti correttamente o inizieranno anche loro un viaggio verso l’Africa dove contribuiranno ad inquinare ulteriormente e incidere sulla salute dei cittadini? Domande che dovremmo porci anche noi consumatori di tutto il globo perché – sostengono in una lettera di denuncia diramata su The Conversation e altre riviste i ricercatori africani Ifesinachi Okafor-Yarwood della University of St Andrews e Ibukun Jacob Adewumi (esperto di Marine mangament e blue economy), l’Africa sta vivendo sempre di più una nuova forma di “razzismo ambientale”.

Nigeria, Ghana e i diversi Paesi del Golfo di Guinea sono infatti diventati la discarica – spesso illegale – dei rifiuti elettronici del mondo. Tonnellate e tonnellate di e-waste, da cavi a schermi, da vecchi telefoni ad aggeggi elettronici di ogni tipo, quando raggiungono il fine vita utile – se non vengono smaltiti correttamente o riciclati bene alla fonte – spesso iniziano un viaggio verso l’Africa. Esattamente come avviene per le nostre vecchie automobili.

Smaltirli nella maniera giusta, preservando componenti da recuperare (spesso anche metalli preziosi) non è facile, e così grazie a un mercato nero che in Africa promette di smantellare e smaltire un po’ di tutto, tonnellate di rifiuti finiscono nelle discariche della Costa d’Avorio, del Ghana, la Nigeria e altri Paesi.

Un mare di rifiuti. Nel mondo, stime del 2019, sono state prodotti 53 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici: se vengono messi in fila compongono una autostrada di almeno 125 km.

Un’enorme quantità di prodotti che, come detto, includono materiali che se bruciati o finiti in discarica diventano tossici, con gravi danni per ambiente e salute dell’uomo. Quando arrivano per esempio nella enorme discarica di Agbogbloshie, nei sobborghi di Accra, in Ghana, per 4 dollari al giorno gli abitanti della vicina baraccopoli lavorano senza sosta questi rifiuti per processarli,  spesso rischiando la vita.
 

E’ ormai sempre più chiaro come grazie al fatto che – secondo un report Onu – solo il 17% dei rifiuti elettronici di Europa o Usa viene raccolto e riciclato correttamente, tutto il resto spesso è diretto in quella che è ormai la pattumiera elettronica del mondo, l’Africa, dove i paesi occidentali scaricano scarti elettronici di ogni tipo.

Nel loro articolo Okafor-Yarwood e Adewumi ricordano per esempio come nei porti della Nigeria si stimi che ogni mese arrivino container carichi di 500mila dispositivi elettronici usati  provenienti da Europa, Stati Uniti e Asia. Rifiuti che, se mal gestiti, come avviene in centinaia di discariche africane dove spesso vengono semplicemente bruciati, diventano tossici, con molti rifiuti carichi di metalli pesanti, mercurio e piombo.

Il razzismo ambientale. Il fatto che i Paesi occidentali – nonostante la conoscenza degli effetti fisiologici e ambientali di questi rifiuti – continuino a tentare di smaltirli nella povera Africa – è secondo i due autori una forma di grave “razzismo ambientale”. Spesso, aggiungono, il vero contenuto dei rifiuti è inoltre sconosciuto, dato che i prodotti vengono semplicemente etichettati come non vendibili o riutilizzabili, in modo da eludere leggi e convenzioni internazionali (Basilea e Bamako). Convenzioni che i due studiosi africani chiedono che siano rispettate, indicando inoltre la necessità che lo scarico di rifiuti pericolosi sia riconosciuto” dalle Nazioni Unite e dai suoi Stati membri come una violazione dei diritti umani“.

Senza attenzione su questo fenomeno, i nostri scarti di computer, televisori, telefoni, forni a microonde e altri dispositivi elettronici, continuano dunque a riversarsi a tonnellate in Paesi dove le comunità locali sono esposte a fumi, sostanze chimiche tossiche e dove la combustione sta portando a malattie respiratorie e della pelle, con i lavoratori delle discariche che rischiano infezioni e tumori e un ambiente ed ecosistemi che potrebbero essere danneggiati per sempre. In aree povere come queste, oltretutto, le persone lavorano questi scarti perchè quella è l’unica fonte di approvvigionamento. Si stima, in Nigeria, che questo settore dia da lavorare in qualche modo a 100 mila persone. Lavoratori che operano senza regole e sicurezza, dato che spesso questi cantieri sono completamente illegali.

Un caso limite arriva per esempio dalla Costa d’Avorio. Nel 2006, ricordano i due esperti, la multinazionale Trafigura che commercia varie materie prime aveva da smaltire diverse tonnellate di rifiuti potenzialmente tossici presenti nei Paesi Bassi. Il costo previsto era di mezzo milione di euro, cifra che sembrava loro esagerata: contattarono così un imprenditore ivoriano che si offrì di smaltire i rifiuti tossici per appena 20 mila euro in 12 diversi siti attorno ad Abidjan, affermando che quel materiale non era dannoso e non doveva essere trattato. “Niente altro che razzismo ambientale, – dicono Okafor-Yarwood e Adewumi – dato che si sapeva che quei materiali erano tossici e hanno mentito pur di scaricarli in Costa d’Avorio”. Dopo quei roghi di rifiuti, migliaia di persone si ammalarono e alcune morirono e diversi siti dell’area sono tutt’ora contaminati. Alla fine, ci fu un accordo fra il gruppo Trafigura e il governo, con circa 200 milioni di dollari di risarcimento per risarcire vittime e bonificare.
 

“Serve protezione”.– Un episodio che non dovrà “mai più ripetersi”. Per questo, per cercare di interrompere il pericoloso sistema che oggi governa le “repubbliche dei rifiuti elettronici”, i due esperti africani scrivono che è fondamentale che i Paesi dell’Occidente smettano con queste forme di razzismo ambientale e che, sia la Nigeria sia il Ghana, vengano protetti ratificando per esempio la Convenzione di Bamako, che regola l’importazione in Africa, il controllo dei movimenti transfrontalieri e la gestione dei rifiuti pericolosi.
 

C’è anche bisogno di un tribunale internazionale che regoli le questioni su rifiuti tossici, elettronici e sui crimini correlati” chiedono i due, così come è fondamentale, se vorranno proteggersi dagli effetti di tutta la spazzatura elettronica inviata dal mondo, che i porti marittimi del Golfo di Guinea si dotino di “tecnologie e personale preparato a trattare fin da subito questi scarti e individuare chiaramente quelli più pericolosi”.

le Repubblica

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