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Le nigeriane che in Sicilia resistono ai trafficanti

Una donna nigeriana nella casa rifugio di Osas Egbon, vicino a Palermo, settembre 2020. (Kate Stanworth)

di Ismail EinasheBbc NewsRegno Unito

Sui monti della Sicilia una donna nigeriana si batte per salvare le sue concittadine che, come lei, sono state vittime di tratta e costrette a prostituirsi. A gennaio Osas Egbon ha aperto sull’isola una casa rifugio, la prima di questo genere creata da e per le donne nigeriane. Attualmente ospita quattro giovani che hanno una ventina d’anni, una delle quali con un bambino. Entro la fine dell’anno dovrebbero arrivarne altre due.

In un caldo pomeriggio di settembre ho guidato fino al paesino sonnacchioso in cui si trova la casa rifugio, in un luogo segreto lontano dal capoluogo dell’isola, Palermo, così che le donne possano nascondersi da coloro da cui stanno scappando.

È una casa tipica dei paesini siciliani, con una grande cucina e un terrazzo con vista sulle colline verdeggianti. Ogni donna ha una stanza tutta per sé, ma il bagno e la cucina sono in comune. Egbon ha ricevuto la casa in comodato d’uso da un amico italiano.

Molti italiani vogliono aiutare le donne nigeriane, racconta. Ma in un periodo in cui aumentano i sentimenti anti immigrati, ce ne sono altri che invece non ne vogliono sentire parlare.

Omicidi orribili
Ho incontrato la prima volta Egbon nel 2018, tre anni dopo che insieme ad altre donne nigeriane aveva fondato l’organizzazione Donne of Benin City, che sostiene le donne vittime di tratta, la maggioranza delle quali provengono dallo stato nigeriano di Edo, la cui capitale è Benin City.

Egbon è stata vittima di tratta 18 anni fa, quando ha lasciato la sua città di origine ed è stata costretta a prostituirsi. È riuscita a ripagare il debito con i trafficanti e ora vive con la sua famiglia a Palermo, ma è fermamente determinata a impedire che altre vivano la stessa esperienza. Insieme alle sue amiche è stata spinta all’azione dagli orribili omicidi di due giovani donne nigeriane, avvenuti a Palermo tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012. Le due donne avevano 20 e 22 anni. Gli omicidi hanno sconvolto i siciliani e hanno fatto luce sulle terribili esperienze vissute dalle donne nigeriane costrette a prostituirsi.

Questo traffico non è una novità, ma dall’inizio della cosiddetta crisi dei migranti, nel 2015, i numeri sono raddoppiati. Secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), l’80 per cento delle undicimila donne nigeriane approdate in Italia nel 2016 è stato vittima di tratta, quasi tutte costrette a prostituirsi.

Dopo essere arrivate, le donne devono cominciare a ripagare i debiti contratti con i trafficanti, che possono arrivare fino a trentamila euro. Devono farlo attraverso la prostituzione, e spesso non riescono a liberarsi da questa schiavitù.

Giuramenti capestro
A Palermo le donne finiscono di solito a vivere nel quartiere multiculturale di Ballarò, dove sono costrette a lavorare nelle cosiddette connection house, gestite da mamans, oppure devono lavorare per strada.

Prima di arrivare in Italia le donne sono costrette a pronunciare un giuramento juju, una cerimonia presieduta da un sacerdote in cui promettono di non denunciare mai i loro trafficanti alla polizia, di obbedire alle mamans e di ripagare i loro debiti. I trafficanti approfittano delle superstizioni delle donne, che hanno il terrore di parlare per evitare conseguenze nefaste su se stesse o sui familiari rimasti a casa. Secondo Egbon questi giuramenti rappresentano l’ostacolo principale che impedisce la liberazione delle donne dai trafficanti e da una vita di sfruttamento.

Due anni fa lei e le sue colleghe sono state molto aiutate dall’oba di Benin City, Ewuare II, un importante capo tradizionale nigeriano che ha lanciato una maledizione sui trafficanti, ribaltando la situazione. All’epoca a Palermo si sono visti dei manifesti che annunciavano la notizia. Da allora, racconta Egbon, è più facile conquistarsi la fiducia delle donne ed è stato possibile liberarne molte.

L’organizzazione Women of Benin City gestisce un centro di assistenza in cui si offrono consigli e soprattuto supporto emotivo. In questo è molto diversa da altre organizzazioni. Le operatrici volontarie sono consapevoli delle relazioni sessuali che le donne intrecciano con i trafficanti e che diventano un modo per impedire loro di scappare.

Grazie alla casa rifugio, Egbon vuole aiutare le donne a emanciparsi dando loro accesso a un’istruzione, a partire dai corsi di italiano o da corsi di formazione che possano aiutarle a trovare lavoro. Permette alle donne di restare nella casa rifugio per un anno, per dare loro la possibilità di riprendersi dalle esperienze traumatiche e prepararsi al futuro.

Per Egbon, un po’ zia, un po’ consigliera, un po’ sorella di tutte queste donne, la casa rifugio è un sogno diventato realtà. Mantenerlo aperto però è difficile, poiché si fonda sull’attività di volontariato e sulle donazioni.

Alcuni esponenti della comunità nigeriana a Palermo si sono fatti avanti per raccogliere fondi e contribuire come potevano. E anche le chiese giocano un ruolo importante nella raccolta fondi. Passando del tempo nella casa rifugio, si capisce che qui le donne si sentono sicure e felici, impegnate a riprendersi dalle loro traumatiche esperienze. Se ne stanno sedute a intrecciarsi i capelli tra loro mentre ascoltano Egbon, e non vedono l’ora di preparare la cena con la carne di capra che ho portato da Palermo, una loro richiesta speciale.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è stato pubblicato dalla Bbc.

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