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Malattie dimenticate, rapporto MSF: mai sentite Noma e Kala Azar?

La lista dell’Oms su venti patologie tropicali neglette (compreso il veleno dei serpenti): 1,7 miliardi di persone colpite, centinaia di migliaia di vittime. Eppure si possono curare

di Michele Farina

C’è quella che ti uccide nel giro di quattro ore e quella invece che preferisce rosolarti per anni (come la Chagas in Sudamerica). E se anche una sembra battere in ritirata (la malattia del sonno, meno di mille casi registrati nel 2019), le altre se la passano molto bene, grazie. Protette dal loro mortale anonimato, senza un mandato di cattura internazionale, vanno in giro abbastanza impunemente e uccidono alla faccia dell’umanità. Sono le Neglected Tropical Diseases, note con un acronimo che ha la forza di un esplosivo: NTD. Sono le cosiddette «malattie tropicali neglette». E domani, sabato 30 gennaio, si è stabilito che sia il loro giorno di quasi celebrità: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ora ne conta venti, ma alcune sono così dimenticate da non essere nemmeno inserite nella lista.

Le cause del silenzio

Dimenticate da chi? Non certo da quel miliardo e 700 mila persone che ne vengono colpite, o dalle famiglie che piangono ogni anno centinaia di migliaia di vittime. Dimenticate perché? «Perché riguardano soprattutto persone povere nel Sud del mondo, e non rappresentano un buon mercato per gli investimenti in ricerca e sviluppo di farmaci»: a denunciarlo è un rapporto di Medici Senza Frontiere (MSF) che il Corriere ha letto in anteprima. Il titolo suona come un impegno: «Overcoming Neglect – Mai più dimenticate». Il contenuto è di quelli che valgono una lettura appassionata, e magari un piccolo esame di coscienza collettivo (qui l’intervento del presidente internazionale di MSF, il dottor Christos Christou).

Chi manca all’appello

Lo sappiamo, a proposito di malattie dimenticate c’è l’imbarazzo della scelta (anche senza andare ai Tropici). E la pandemia di Covid-19 ha allargato il cerchio. Non si tratta di stilare classifiche. Ma c’è un motto che deve valere anche per la salute pubblica a ogni latitudine, che si parli di vaccini per il coronavirus o della piaga nascosta della «febbre nera»: «Leaving no one behind», non lasciare indietro nessuno.

Anche i serpenti nella lista dei killer nascosti

I «nessuno» di questa storia marginale sono affetti da malattie che hanno nomi più o meno sconosciuti: Kala Azar (leishmaniosi viscerale), Chagas, Noma. Ma se leggiamo «mamba nero», forse più o meno tutti ne abbiamo sentito parlare: è un serpente, una delle 3 mila specie che popolano la Terra, una delle 200 considerate velenose. Nel piano aggiornato dell’Oms 2021-2030, tra le new entry nella lista delle NTD ci sono gli avvelenamenti causati dal morso dei serpenti. «Seppure esistano trattamenti efficaci — denuncia il rapporto di MSF — ogni anno il loro veleno uccide più di 100.000 persone nel mondo, più di qualsiasi altra malattia tropicale negletta. Se ti lascia in vita, il veleno di un serpente può lasciare disabilità permanenti come cecità o amputazioni. Trattamenti clinici adeguati e tempestivi possono salvare vite ma la maggior parte delle persone non arriva in tempo alle cure. Per molti pazienti gli antidoti non sono disponibili o accessibili».

La febbre nera

Fattore tempo e accessibilità sono cruciali anche per guarire le persone colpite da Kala Azar (febbre nera in hindi) o leishmaniosi viscerale. «È quasi del tutto debellata in Asia meridionale mentre in Africa orientale non è nemmeno lontanamente sotto controllo», denuncia Medici Senza Frontiere, che ha curato finora 150 mila pazienti con questa patologia. Ogni anno si registrano un milione di nuovi casi. La «febbre nera» non è trasmissibile da persona a persona. Si può contrarre a causa della puntura di alcuni moscerini tropicali, detti pappataci, ed è endemica in 76 Paesi. Anche in questo caso, per la maggior parte dei pazienti è difficile accedere alle cure. MSF chiede test rapidi più efficaci e cicli di trattamento brevi per via orale. A detenere i diritti dell’unico farmaco per bocca attualmente disponibile, la miltefosina (nome commerciale Impavido) è una piccola azienda americana, la Knight Therapeutics, che però lo vende pavidamente in quantità fisse che spesso superano il fabbisogno di un Paese o di un’organizzazione. Il risultato è doppiamente dannoso: mancanza di farmaci (troppo costosi) e sprechi. Un caso emblematico.

Rischi e progressi

Non bisogna allargare le braccia, con quel senso di impotenza/insofferenza che spesso ci coglie davanti a questi scenari. Fare molto si può. Il rapporto di MSF prova che l’incidenza di alcune NTD è calata significativamente grazie a piani integrati: donazione di farmaci, sponsor, collaborazioni. Ma già molti obiettivi del piano 2012-2020 non sono stati raggiunti. «Per mancanza di volontà politica e fondi insufficienti. Nel 2015 l’Oms stimava in 18 miliardi di dollari il bilancio necessario per centrare gli obiettivi. Le cifre raccolte sono lontanissime da quel traguardo». E il futuro è pieno di nuovi ostacoli: «Crisi umanitarie, disastri naturali, la stessa pandemia Covid-19» sono fattori che rischiano di rendere ancora più dimenticate le NTD e ancora più vuote le tasche di chi cerca di combatterle. Occorre alzare la testa, e anche l’asticella. Act big, come promette la nuova amministrazione americana.

La piccola Bilya

Alzare l’asticella, anche aggiungendo un nome alla lista. Così Medici Senza Frontiere chiede ad esempio che tra le 20 malattie tropicali neglette ne venga inserita una particolarmente dimenticata che risponde al nome di Noma (in greco, ulcera), alias stomatite gangrenosa. Noma, ironia della sorte, si chiama anche un ristorante di Copenaghen che è considerato tra i migliori al mondo e che probabilmente è più famoso della malattia stessa. Sempre questione di palato, da una prospettiva opposta e tragica: Noma colpisce soprattutto i bambini sotto i 5 anni nei Paesi poveri e denutriti. Comincia con quella che sembra una banale gengivite e in pochi giorni distrugge ossa e tessuti della bocca. Nel giro di due settimane, se non curata, Noma porta alla morte nel 90% dei casi. Oppure gli antibiotici, nello stesso lasso di tempo, possono guarirla. Spesso i sopravvissuti rimangono gravemente offesi e sfigurati nel volto, con difficoltà a mangiare, parlare o respirare. Bilya aveva un anno quando è stata colpita da Noma in Sud Sudan. Le cure non sono state tempestive, ma Bilya è stata salvata, vive. «Le persone scappavano quando vedevano la mia faccia scavata, pensavano che non fossi umana. Poi sono andata all’ospedale e ho visto altri nella mia situazione: è stato un sollievo».

Corriere della Sera

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