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Mali, poesia di strada contro le mutilazioni genitali femminili

@Ethiopia/2013/Colville/Ebeling (via Flickr)

Ad appena 23 anni Aicha Diarra è una tra le figure più conosciute nella lotta contro le mutilazioni genitali femminili in Mali. La sua arma? La “slam poetry”, un’arte che mette insieme recitazione, poesia e un linguaggio simile al rap statunitense

di Daniele Bellocchio

Aicha Diarra ha 23 anni, è nata e cresciuta in Mali ed è un’attivista. La giovane donna, che vive in uno dei paesi la cui storia recente è tra le più turbolente e drammatiche dell’Africa, è salita alla ribalta delle cronache negli ultimi mesi per essere divenuta una celebrità per il suo impegno nella difesa dei diritti delle donne e, soprattutto, per il modo con cui supporta e combatte a favore della parità di genere: la slam poetry, o poesia di strada.

Attraverso competizioni di poesie recitate a Bamako, capitale del Mali, Aicha ha denunciato le violazioni dei diritti delle donne parlando anche di questioni considerate tabù nello stato bagnato dal fiume Niger.

Poesia e impegno sociale in Mali
L’arte della slam poetry è una forma culturale approdata relativamente di recente nel Paese africano. Le prime esibizioni di questa disciplina, che unisce recitazione, poesia e utilizzo di un linguaggio diretto simile a quello del rap statunitense, risalgono agli inizi degli anni 2000. Ma è a partire dal 2014, con l’istituzione del Festival of Slam and Humor (Fish), che in Mali ha iniziato a prendere piede la disciplina artistica, trovando consenso e approvazione tra i giovani.

«Io ho fatto un corso di slam poetry a scuola, quando andavo al liceo, e da quel momento ho deciso di praticare e dedicarmi a quest’arte che mi ha permesso di salire sui palcoscenici del mio paese e denunciare le ingiustizie a cui sono sottoposte le donne maliane», ha raccontato ai microfoni di VOA Aicha. Che ha aggiunto:

«Il fatto che il tutto avvenga attraverso un linguaggio satirico immediato e coinvolgente permette di toccare questioni che sono considerate tabù e delle quali, in altro modo, non è consentito parlare».

Osservatorio Diritti

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