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Medici immigrati contro il Covid, la Francia li naturalizza. E noi, che facciamo?

In Italia ci sono circa settantamila fra medici e infermieri che arrivano dall’Est Europa, dall’Africa, dal Medio oriente, e soltanto il dieci per cento di loro riesce a lavorare nel pubblico per opposizioni burocratiche.

di Mattia Feltri

Il ministro della Repubblica francese, Marlène Schiappa, ha chiesto ai prefetti di facilitare e accelerare la concessione della cittadinanza a circa settecento fra medici e infermieri di origine straniera che – come tutti i medici e gli infermieri – si sono battuti contro il covid. In prima linea, ci piace dire. Ma se, come in guerra, c’è una prima linea, corre senz’altro dentro gli ospedali. Hanno dimostrato il loro attaccamento alla Francia, ha detto Schiappa, ora tocca alla Francia dimostrare attaccamento a loro.

Mi sono venuti in mente i Miserabili, non il capolavoro di Victor Hugo, ma il film del 2019 di Ladj Ly, regista quarantaduenne nato e cresciuto a Montfermeil, comune di 25mila abitanti a pochi chilometri da Parigi. Negli anni Settanta, Montfermeil diventò una città di palazzoni e di proletariato, e oggi è una periferia di immigrazione. Lì c’era la locanda dei Thénardier, nel libro di Hugo, dove la piccole Cosette, sei anni, viveva da schiava. Lì si sollevarono le sommosse del 2005, e in molte banlieu parigine. Lì è ambientato i Miserabili, il film di Ladj Ly, un film meraviglioso che racconta di un territorio sottratto al controllo della legge e consegnato a quello delle bande, divise spesso per etnie e territorio, e dove la polizia finisce col seguire più le logiche tribali che quelle dei codici. Questa è la condizione di numerose banlieu, e la condizione della Francia da anni è di essere l’obiettivo prediletto dei terroristi, da Charlie Hebdo al Bataclan a Nizza.

Ma le tremende difficoltà e i numerosi errori commessi non fermano la République, per fortuna. Non esistono “gli immigrati”. Esistono i terroristi, esistono i fuorilegge ed esistono quelli che rischiano la pelle (magari nera, guarda un po’) perché sono partecipi del destino di una comunità. E se ne sono partecipi, appartengono alla comunità. Questo è il ragionamento – ovvio, ma nulla oggi è scontato – di Marlène Schiappa. E soltanto questo può fare una grande civiltà: accogliere chi ne vuole fare parte.

Lo dico perché in Italia ci sono circa settantamila fra medici e infermieri che arrivano dall’Est Europa, dall’Africa, dal Medio oriente, e soltanto il dieci per cento di loro riesce a lavorare nel pubblico per opposizioni burocratiche. Ma durante la pandemia, ventimila sono stati chiamati ad aiutare nei pronto soccorso e nel ruolo di medici di famiglia. Volevano dare una mano, a rischio della salute, e ci sono riusciti. Ora bisognerebbe che una mano gliela tendessimo noi. Questo, io penso, sarebbe patriottismo.

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