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Migranti. Sul barcone con papà per curarsi. Bimbo paralitico rinchiuso a Pozzallo

Ha 7 anni. Il padre mostra i referti dei medici tunisini: tetraparesi spastica. I legali denunciano: violate le norme, i minori non possono essere reclusi. Appello per cure urgenti

di Nello Scavo

Racconta il padre di non avere avuto scelta. Sostiene che quel figlio flagellato dalla meningite meritava altre cure, lontano dal suo quartiere in Tunisia. Ripete di non avere avuto né soldi né buoni agganci per ottenere un permesso e volare in Francia o in Italia, e qui implorare i medici più bravi di prestare le cure migliori al suo bambino. Perciò ha messo nelle tasche degli scafisti un pugno di dinari ed è salito su un barcone. Avrà pensato che rischiare di morire annegati è sempre meglio che sopravvivere senza neanche aver provato a dare al bambino una migliore speranza di vita.
Da giorni, tra consueta burocrazia e ordinaria disumanità, il bambino giace sul materasso di gommapiuma. Al polso destro il bracciale con il suo nome e i dati sanitari, proprio come negli ospedali. Solo che quello non è un nosocomio, ma un luogo che la legge aveva destinato ai soli adulti, vietando che qualsiasi minore possa esservi rinchiuso. Figurarsi un bambino disabile di 7 anni, immobile e incapace di muoversi senza venire preso in braccio dal papà.

Sbarcato a Lampedusa il 5 novembre, trasferito a Pozzallo il 25, “Il minore necessita di essere immediatamente trasferito presso una struttura adeguata ove medici specialisti possano occuparsi di ogni sua esigenza”, scrive nell’esposto al ministero degli interni l’avvocato Alessandra Ballerini che con “Terres des hommes” e “Lasciatecientrare” segue il caso.

La cartella clinica del piccolo

Dall’hotspot giunge voce che all’interno vi sarebbe anche una sedicenne in stato di gravidanza. Se confermato, anche lei dovrebbe essere portata altrove e non lasciata in un un hangar sistemato con i letti a castello su cui nei giorni di pioggia sgocciola a dirotto dal tetto.

Più preziosi dei passaporti, con sé l’uomo ha portato due fogli, ben ripiegati e tenuti al riparo dalla traversata. E’ il referto dell’ospedale di Sfax, che riassume le condizioni del bambino e le terapie praticate fin dai mesi successivi alla nascita. I medici spiegano che deve fare i conti con una tetraparesi spastica, una forma di paralisi che colpisce gli arti e che provoca anche seri danni cerebrali. Una foto scattata prima della partenza lo mostra con le gambe fasciate, un divaricatore e lo sguardo di chi non aspetta altro che attenzioni.

Attesa la minore età, la grave invalidità fisica e mentale del minore, egli necessita quanto prima – insiste l’avvocato Ballerini – che siano attivate in suo favore tutte le misure di tutela maggiorata”, previste dalle norme italiane e che non fanno distinzione tra bimbi italiani e stranieri.

La reclusione in un luogo destinato solo agli adulti e il mancato urgente trasferimento in una struttura sanitaria adeguata, oltre che aggravare le condizioni di salute del piccolo migrante, potrebbero mettere l’Italia di fronte all’accusa di gravi violazioni dei diritti umani.

Il bambino paralitico, rinchiuso nell’hotspot di Pozzallo 

La traversata in mare da Sfax alla Sicilia è stata un grosso rischio. E certo non mancherà chi accuserà il padre di avere messo in pericolo la vita del figlio.

“L’ulteriore ingiustificato trattenimento del minore all’interno dell’ Hot Spot di Pozzallo, costituisce innegabilmente una gravissima violazione della Convenzione di New York”, si legge nella missiva inviata al Viminale. La convenzione, di cui l’Italia è firmataria, fra l’altro stabilisce che “in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”, per questa ragione gli Stati aderenti “adottano ogni misura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di violenza, di oltraggio o di brutalità fisiche o mentali”.

Avvenire

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