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Nel silenzio del mondo Mustafa ed Helen sono morti di fame per lo sciopero contro il regime di Erdogan

Mustafa ed Helen

Mustafa Kocak era parte del gruppo musicale di sinistra Grup Yorum, da anni perseguitato da Erdogan. Anche un altro membro, Helen, è morta settimana scorsa.

Eppure, il Dio della Giustizia aveva voluto che Mustafa finisse la sua agonia proprio il 25 aprile, data che ormai nel mondo, con “Bella ciao”, è il giorno universale della Liberazione. Per Mustafa, dopo 297 giorni di digiuno, la liberazione è stata quella da un’agonia che è stata la sua arma contro il potere liberticida di Erdogan.
Bello sarebbe stato se il suo nome, la sua foto, il nome della sua compagna di lotta Helin Bolek fossero stati condivisi nel giorno della nostra Liberazione.

La storia, la protesta civile e la fine dei due attivisti turchi avrebbe meritato maggiore attenzione, un po’ più di indignazione nel mondo e anche da noi, alle prese con una memoria che qualcuno ha provato a sporcare.
Chi sono stati Mustafa ed Helin, uccisi da Erdogan uno dopo l’altra? Mustafa Kocak, era un ragazzo, 28 anni. La sua città Istanbul, fino all’arresto. Famiglia povera, quattro figli, Mustafa non ha avuto il tempo del gioco, a lavorare anche da bambino. In casa o si faceva quel che si trovava, o non si mangiava. Infanzia e giovinezza lavorando qua e là. A cambiargli la vita, e poi a spezzargliela, ci ha pensato il regime di Erdogan, arrestandolo quel 23 settembre del 2017.

Mustafa è morto 20 giorni dopo Helin Bolek, e quando è morto pesava solo 29 chili. I due membri della band musicale di ispirazione marxista turca Grup Yorum, in sciopero della fame da mesi contro la durissima repressione scagliata dal governo contro il loro progetto artistico e politico, se ne sono andati uno dopo l’altra, ridotti pelle e ossa da una protesta estrema. Mustafa Kocak si è spento ieri dopo 297 giorni a rifiutare il cibo. E quando, una settimana prima di morire seppe della morte della compagna Helin, disse: “È morta lei, ora morirò io”.

Mustafa chiedeva un processo equo, e denunciava le torture subite. Tutto quello che chiedeva era un processo giusto, non gliene hanno dato la possibilità – ha commentato Omer Faruk Gergerlioglu, parlamentare del partito di sinistra pro-curdo Hdp – Mustafa è l’ultima vittima di un sistema ingiusto”.
La persecuzione di Mustafa ed Helin è storia di persecuzione politica e culturale. Nata nel 1985, con all’attivo 23 album, la band musicale nel mirino del regime di Erdogan, da anni è sottoposta al divieto di esibirsi in pubblico. Il loro centro culturale di Istanbul è stato perquisito e chiuso dieci volte negli ultimi due anni. Diversi suoi membri sono tuttora in prigione. Per accuse gravi, ma senza prove. Tra le accuse, quella di aver fornito armi a un’organizzazione terroristica. Mustafa era stato condannato all’ergastolo sulla base di testimonianze ottenute con la tortura. Ricostruendo la lunga agonia di Mustafa, uno dei suoi legali, Aysul Catagay, ha detto: “Lo hanno guardato morire giorno dopo giorno”.

E nelle carceri turche i digiuni continuano: gli avvocati Abru Timtik e Aytac Unsal non mangiano da 114 e 83 giorni, un altro componente del Grup Yorum, Ibrahim Gokcek, è arrivato al 313esimo giorno. Digiuni che porteranno alla morte, come è stato per Mustafa ed Helin. In Turchia il digiuno è l’estrema protesta rimasta. A Istanbul non c’è un giudice, è il caso di dire. Dal tentato golpe del 2016 le cose sono precipitate: epurazioni, repressione, detenzioni di massa.

Trentamila prigionieri politici. Pure Helin Bolek aveva 28 anni, lei è morta dopo 288 giorni di uno sciopero della fame che l’aveva ridotta pelle ed ossa, fragilissima. Il mese scorso le autorità l’avevano portata in ospedale con la forza, ma lei aveva continuato a rifiutare il cibo perché la sua richiesta di giustizia veniva calpestata. Sui social, i Grup Yorum hanno condiviso le immagini del funerale di Helen: lacrime e slogan di protesta mentre la bara in legno della giovane viene portata a spalla da un corteo di sole donne.

Globalist

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