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“Sicilia nel cuore”: come la tragedia Covid sta cancellando tanti pregiudizi contro il sud

Ettore con il personale sanitario di Palermo

La storia di Ettore di Bergamo colpito dal virus e portato all’Ospedale Civico di Palermo dove c’erano posti in terapia intensiva. Il risveglio e tanta solidarietà

di Onofrio Dispenza

“Mi tatuerò la Sicilia sul cuore, nel cuore”.
Ce lo siamo detti, lo abbiamo scritto, abbiamo giurato che l’avremmo fatto: usciti da questo tsunami, cambieremo in meglio. Certo, il corso della Storia ci sta offrendo, nella tragedia, una grande occasione: cancellare modelli economici e sociali che si sono dimostrati fallaci, coi piedi di creta; cancellare una scala di valori modellata alle esigenze di chi, per profitto, li ha imposti, dopo averci cancellato dalla memoria collettiva, e individuale, quelli buoni che furono delle generazioni che questo Paese e l’Europa hanno ricostruito, uscendo da quell’altro tsunami. Tocca a noi rispettare l’impegno di cambiare noi stessi e le cose, se non lo faremo, non saremo stati furbi, ma stolti.

Tra i luoghi comuni e i pregiudizi da cancellare, l’idea che ci siano confini tra l’uno e l’altro uomo, tra un angolo e l’altro del mondo, tra un fazzoletto di Paese e un altro, e solo per la collocazione geografica che fa riferimento ai quattro punti cardinali.
Torniamo alle parole iniziali, all’impegno di Ettore. Lui è di Bergamo e ha raccontato il suo calvario. Positivo al coronavirus arriva in ospedale nella sua Bergamo sconvolta da una guerra nuova e imprevedibile. Le ultime parole che Ettore sente a Bergamo prima di entrare in quel limbo dal quale molti non sono più usciti, sono state: “Non c’è posto”: Ettore lo ha saputo dopo settimane quel che gli è poi successo: un aereo militare lo ha portato da Bergamo all’Ospedale Civico di Palermo dove c’erano ancora posti in Terapia Intensiva:“Portatelo da noi”. La lotta per salvarlo è stata dura, solo dopo settimane Ettore ha capito. Dapprima ha pensato che quei medici e infermieri in tuta bianca e col volto schermato scherzassero quando gli dicevano e gli ripetevano che era in Sicilia.

Ettore pensava di essere in ospedale a Bergamo ma circondato da medici e infermieri siciliani. In effetti, a Bergamo è così, e tra le vittime in corsia tanti negli ospedali del Nord erano di origine meridionale, ultima Lidia, infermiera siciliana di 55 anni. Ettore capisce quando, uscito dalla fase critica, gli arrivano dolcini e arancine. Circondato dai sorrisi e dall’incoraggiamento degli infermieri che lo hanno seguito, Paola, Silvia, Dario Emanuele, tanti altri, gli stessi che la sera gli offrono il telefonino perchè possa parlare coi nipotini e con la figlia che aspetta d’essere portata sull’altare, appena si potrà tornare a vivere e gioire.
Ettore si porterà la Sicilia nel cuore, se la farà disegnare sul petto, e a Bergamo risalirà con un diario personale che smentirà luoghi comuni e pregiudizi, e le sue parole ne cancelleranno tante altre.

Le parole di Ettore non sono diverse da quelle dette da altri suoi concittadini che all’inizio di questa emergenza furono costretti alla quarantena a Palermo durante un viaggio di piacere. Li circondò l’affetto e la solidarietà dei palermitani, arrivarono loro dolci, frutta e fiori, come si fa nelle case del Sud quando in casa si ha un ospite.
Adesso,non per precipitare da un luogo comune a un altro che ci vedrebbe più bravi e buoni, ma solo per pareggiare “a livella” in un tempo che ha messo in discussione anche l’assioma che sanità al nord è più bella. Si pensi a Napoli, allo straordinario Ospedale Cotugno, eccellenza che in questa emergenza non ha fatto registrare un solo caso positivo tra medici e infermieri. Si pensi al miracolo dell’ospedale Covid realizzato con strutture modulari all’ombra dell’Ospedale del Mare, sempre a Napoli. Tutto fatto bene, in poco tempo e con una spesa contenuta. Senza parlare delle sperimentazioni e delle terapie pilota.

Il Sud è questo, anche questo, in barba ai torti e al diverso trattamento avuto. Quindi, al Sud come al Nord, un bel colpo di spugna alla lavagna dove ciascuno segnava le accuse agli altri. C’è da scrivere un’altra storia, e un’altra storia è possibile.

Globalist

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