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Storia di Mario, il ‘dreamer’: “Trump ha cercato di rubare i nostri sogni, ma ha perso”

Mario con la moglie Mariagrazia e il figlio (foto di Huascar Fiorletta)

di Flavia Caroppo 

Finalmente si sta sgretolando. E prima o poi cadrà. Non sarà come a Berlino nel 1989, ma quel muro ai confini col Messico sweet obsession del Presidente (uscente) Trump andrà in briciole a colpi di sentenze. 

La più recente picconata arriva dalla corte Federale dello Stato di New York che ha annullato l’ordine interno con cui il Dipartimento per la Sicurezza Nazionale (Department of Homeland Security) ha bloccato le nuove richieste di accesso al DACA (Deferred Action for Childhood Arrivals), impedito il diritto a viaggiare all’interno del paese e all’estero, e limitato a un anno la durata di questa sorta di permesso di soggiorno, che protegge dalla deportazione gli immigrati “undocumented”, cioè quelli americani di fatto, ma non di nascita, arrivati negli USA da bambini. 

Negli ultimi quattro anni Trump ha cercato in ogni modo di distruggere il programma di protezione creato da Obama nel 2012 e che ha permesso a quasi un milione di dreamers (sognatori), come vengono chiamati questi cittadini di fatto ma non di diritto, di avere un permesso di lavoro, un’assicurazione sanitaria, un presente e un futuro. Il primo tentativo del Governo uscente di liberarsi dell’intero programma risale al 2017. Dopo tre anni di battaglie legali (e deportazioni illegali) però, lo scorso giugno una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti ridiede ai dreamer il diritto di sognare. Almeno per un po’.

Meno di due settimane dopo, infatti, senza averne potere legale, il presidente Trump nominò Segretario “facente funzioni” del Dipartimento di Sicurezza Nazionale uno dei suoi fedelissimi, Chad Wolf (lo stesso che ha coordinato l’invio della Guardia Nazionale per fermare la protesta Black Lives Matter a Portland, che ha negato la pericolosità del Covid e l’esistenza di un problema di discriminazione razziale all’interno della Polizia). L’unico obiettivo di Wolf era quello di trovare uno stratagemma legale per distruggere i sogni dei “sognatori” o, quantomeno, di guadagnare tempo fino alle elezioni (che allora, come ora, Trump era convinto di vincere). E Wolf creò il decreto blocca-DACA. 

Con una dura sentenza, pubblicata a ridosso del Ringraziamento, il giudice federale Nicholas Garaufis ha dichiarato illegittima la nomina di Wolf annullando, di conseguenza, tutti i memorandum e gli ordini di servizio da lui emanati. 

Un utilizzo triste e inappropriato dell’autorità esecutiva, un atto illegittimo del Governo Federale  che ha colpito e sta colpendo duramente la vita di molte, moltissime persone”. Così il giudice Garaufis (che il presidente uscente ha etichettato più volte come “attivista”), ha ribaltato l’ultimo, estremo tentativo dell’amministrazione Trump di impedire la creazione di un percorso legale per dare una patria a chi, a volte sin da appena dopo la nascita, ha dovuto vivere da clandestino in casa propria. 

“Dreamer, sognatore, è una bella etichetta, ma è troppo romantica. Forse ghost, fantasma, è la definizione più giusta per descrivere una realtà che non si può raccontare a parole. Va vissuta per capirla. Anzi no, non andrebbe mai vissuta, da nessuno”

Mario ha 26 anni, è nato in Messico e vive a Berkeley, alle porte di San Francisco (California) con sua moglie Mariagrazia (nata e cresciuta a Roma) e Max, di soli tre mesi, l’unico americano vero della famiglia. Stringe il bambino al petto con la scusa del ruttino, quasi a farsene scudo, mentre racconta di quando, con la sua mano di bambino stretta in quella della mamma, allora poco più che ventenne, attraversò a piedi il confine che separa il Messico dagli Stati Uniti e diventò un fantasma.

Culla il piccolo Max, gli accarezza ipnoticamente i capelli, neri come i suoi, e ricorda i dettagli di quella notte. Il viaggio in autobus da Puebla a Città del Messico, poi l’aereo per Tijuana, il motel squallido dove tutti quelli che, come loro, dovevano “attraversare”, aspettavano l’arrivo del coyote, l’uomo che li avrebbe materialmente portati oltre confine. Parla Mario, e rivive la paura, l’ansia, sente il prurito del nastro adesivo che teneva fermi i soldi che la mamma aveva nascosto sotto i vestiti di entrambi. Doveva solo camminare svelto Mario, non lasciare mai la mano di sua madre e, soprattutto, non doveva mai alzare gli occhi, questo non era un gioco, a 9 anni Mario lo capiva. 

Però gli occhi li alzai lo stesso, proprio mentre stavamo passando davanti al checkpoint. Per un lungo attimo incrociai lo sguardo con uno dei due agenti della “migra” (la polizia di frontiera) che controllavano l’ingresso negli Stati Uniti. Mi aveva visto, lo sapevo, non poteva essere altrimenti. E ora avrebbe fermato me e mia madre, pensai con terrore. Mi fermai, paralizzato dal danno che temevo di avere fatto. Mia madre mi tirò per la mano, continuai a camminare e passammo davanti agli agenti in silenzio. Io tenni la testa bassa stavolta, come un soldatino. Il potere del coyote ci aveva resi invisibili, mi dissi. Ecco, quella è stata la mia prima volta da fantasma”.

Pochi anni dopo Mario capì che non accadde nulla di magico in quel viaggio. Il coyote era solo un cittadino americano, un gringo che di mestiere faceva il traghettatore di esseri umani e che ospitò i due per qualche settimana in casa sua a Pasadena (in California), in attesa che le acque fosse calme abbastanza per metterli su un volo con destinazione New York. E ricevere l’ultima tranche del pagamento, ovvio. Perché l’unico superpotere era quello dei soldi, i tanti soldi che la mamma di Mario aveva pagato per il viaggio. 

Il suo decimo compleanno, il primo da “fantasma”, Mario lo festeggia a New York, soli lui e la mamma. Non può invitare i compagni di scuola, già da allora sa che è “diverso” e che deve stare molto attento a non essere “scoperto”. Nel 2012 Obama crea il progetto DACA e Mario, da fantasma, diventa ufficialmente “dreamer”. 

Il governo Trump ha fatto di tutto per rubare quel sogno a noi e ai nostri genitori, ma ha perso. Joe Biden ha detto che, durante il suo primo giorno di lavoro come Presidente degli Stati Uniti, invierà al Congresso un progetto di legge per regolarizzare gli oltre 11 milioni di immigranti illegali, dreamers inclusi. Io gli credo. Perchè non dovrei? In fin dei conti sono un sognatore”.

Globalist

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