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Chiusa la ’finestra di vita’ sotto le macerie, ora si muore di fame e freddo. Dietro il terremoto

Allarme Oms. ‘ Soccorsi troppo lenti, ora il rischio è morire di fame e di freddo’, mentre il bilancio del sisma supera le 20mila vittime. Protesta in Siria: i camion Onu arrivati ieri sono semivuoti. In Turchia i rifugi non bastano. Ankara riattiva Twitter ma gli detta le condizioni anti-dissenso. Le responsabilità politiche dietro la strage nelle città di cartone. E i primi sciacallaggi sono jihadisti.

La ‘finestra di vita’

Le 72 ore successive a una calamità sono ‘la finestra di vita’, spiega Chiara Cruciati sul Manifesto. «Significa che, superato quell’intervallo, ritrovare dei dispersi ancora vivi è pressoché impossibile». Dal sisma dell’alba di lunedì di ore ne sono trascorse molte di più. 20 mila i corpi finora recuperati e, tra Siria e sud est della Turchia, un solo grande cimitero sotto le macerie. E ora, dopo il terremoto geologico quello umano, si inizia a morire di freddo, di fame e di abbandono. «Fa talmente tanto freddo che molti sopravvissuti potrebbero morire per mancanza di aiuti», avverte Robert Holden, responsabile delle emergenze per l’Oms: «C’è il rischio reale di un disastro secondario che potrebbe colpire molte più persone di quello principale». Ma la politica, soccorre prima sé stessa: censura siriana ormai storica, e il presidente turco Erdogan che dichiara lo stato d’emergenza «per annientare i gruppi sovversivi che tenteranno di approfittare della catastrofe», e alle presidenziali di maggio votargli contro.

I convogli poveri per la Siria

Situazione ancora più drammatica in Siria, dove gli aiuti sono decisamente inferiori. Ieri la promessa avanzata mercoledì da Muhannad Hadi, coordinatore regionale Onu per la Siria, è stata mantenuta: sei convogli sono entrati nel nord-ovest del paese dal valico di Bab al-Hawa, chiuso lunedì da Ankara. Ma l’Osservatorio siriano per i diritti umani, vicino alle opposizioni: «Vergogna, avete mandato sei convogli con gli stessi aiuti che sarebbero dovuti entrare prima del sisma. Nei camion ci sono pochissime cose. Poteva entrare tutto in un solo convoglio. Dentro, dice, c’erano solo prodotti per l’igiene». Dopo l’appello di Damasco al meccanismo Ue per la protezione civile, ieri la Germania ha promesso 26 milioni di euro e la Francia 12 da distribuire a ong e Nazioni unite, specificando di non voler riprendere in alcuna forma i rapporti con il governo. Posizione identica a quella statunitense, che l’Onu però non avalla: «Quello che serve oggi è che non ci siano intralci politici agli aiuti».

I condoni edilizi turchi dietro il disastro

«25 sanatorie in 50 anni, l’ultima nel 2018: tredici milioni di strutture legalizzate pagando. Molti edifici pubblici danneggiati perché, dice la legge, le strutture pubbliche non sono soggette a ispezione», denuncia Giritlioglu, presidente dell’Unione degli architetti e gli ingegneri turchi di Istanbul: «Patto tra capitale e potere: i condoni turchi dietro il disastro». E scopriamo che dei 6.500 edifici crollati, decine di migliaia quelli danneggiati, moltissimi avevano fatto richiesta di condono. Non rispettavano le regole edilizie, fondamentali in un’area sismica come l’Anatolia. Ma l’edilizia è un settore di punta per il partito del presidente Erdogan, l’Akp, che lo usa come volano di consenso politico e di distribuzione di prebende.

Clientele politiche e corruzione

Le leggi sistematicamente inadempiute o aggirate. Dopo il terremoto del 1999, battaglia politica contro le sanatorie ma nel 2018 elettorale, nuova sanatoria. Nonostante ciò, una nuova amnistia è entrata in vigore nel 2018. Richiesta di condono e soldi che avrebbero dovuto essere usati per il rinnovo urbano di cui non si ha notizia. Tredici milioni di strutture sono state legalizzate in questo modo. Poco prima dell’ultimo sisma, abbiamo saputo che una nuova amnistia era nell’aria. 75mila edifici di quelli distrutti o danneggiati lunedì erano stati condonati. Moltissimi edifici pubblici che sono stati tra i primi a essere danneggiati dal sisma perché, prevede la legge, le strutture pubbliche non sono soggette a ispezione. E questo ha favorito ulteriormente la lobby edilizia già strapotente.  

Anche i saccheggi dei jihadisti

Nel cantone curdo-siriano, parte del Rojava, il Kurdistan in Siria, che racconta sempre Chiara Cruciati sul Manifesto, è dalla primavera 2018 occupata dalle milizie islamiste fedeli alla Turchia. «Ad Afrin nessuna organizzazione internazionale ha ancora portato aiuti», denunciano da quella terra di frontiera e di conquista. Mentre i miliziani jihadisti nell’area non hanno fatto nulla per recuperare i corpi, e anzi, più casi  di furti e saccheggi da parte di uomini armati. E così è la gente stessa che sta portando avanti le operazioni di soccorso, scavando spesso con la sole mani, e seppellendo.

Tra Afrin e Aleppo dove dal 2018 si sono rifugiati centinaia di migliaia di abitanti del cantone curdo, fuggiti all’occupazione turca manca tutto, e nella parte occupata, i pochi aiuti locali vengono bloccati. Nessun coordinamento ufficiale o almeno ufficioso con il regime siriano sull’operazione di soccorso.

REMOCONTRO

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