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Dal litio al nichel: la Cina si prende l’Africa e preoccupa l’Occidente

Minatori africani in un giacimento d’oro. Foto: Epa/Dai Kurokawa

di Federico Giuliani

Litio, cobalto, grafite, bauxite. Per non parlare di nichel, zinco, carbone e cobalto. La lista dei minerali estratti è lunghissima, e comprende siti dislocati pressoché in tutti gli Stati dell’Africa. Già, perché, a differenza di quanto si possa pensare, da queste parti la Cina non ha investito soltanto in strade, aeroporti e ferrovie. Pechino ha messo le mani su una quantità impressionante di luoghi colmi di materiali preziosi, tanto per il loro valore intrinseco sui mercati internazionali quanto, soprattutto, per il peso geopolitico che riescono ad incarnare.

A giudicare dalle cifre in ballo, considerando che il Continente Nero ospita circa il 30% delle risorse minerarie mondiali, l’intera regione si candida seriamente a trasformarsi nel motore energetico di chi riuscirà a conquistarne la fiducia. Per adesso, in virtù del fiume di denaro riversato nell’area negli ultimi anni, in pole position troviamo la Repubblica Popolare Cinese, anche se alle spalle del Dragone sono pronti a recuperare posizioni altri attori globali, compresi gli Stati Uniti.

La sfida per il futuro

Washington, ma più in generale l’intero Occidente, ha bisogno di poter contare su quantità sufficienti di decine e decine di minerali critici, fondamentali per completare la transizione energetica, ridurre le emissioni di carbonio e creare posti di lavoro nel settore delle rinnovabili.

Per l’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aiea), nel caso in cui il mondo dovesse effettivamente intraprendere un percorso per diventare carbon neutral entro il 2050, l’eolico e il solare potrebbero rappresentare il 70% della produzione di energia entro il 2050, rispetto al 9% registrato nel 2020. In termini concreti, tutto questo si tradurrebbe in un’enorme domanda di metalli e minerali, come cobalto, rame e nichel, vitali per le tecnologie alla base dell’ipotetica, nuova, quotidianità (auto elettriche in primis).

La stessa Aiea ha quindi ipotizzato che la dimensione del mercato dei suddetti metalli potrebbe aumentare di quasi sette volte da qui al 2030. C’è però un piccolo problema all’orizzonte: proprio come accade con le riserve di combustibili fossili, queste materie prime sono dislocate sul pianeta in modo non uniforme. L’Africa è un serbatoio enorme. Ma non basterà per accontentare le esigenze di tutti.

Cina contro Stati Uniti

progetti energetici avviati dalla Cina in Africa sono imponenti. La solita Aiea ha quantificato in 13 miliardi di dollari la somma investita da Pechino in progetti energetici nel continente solo tra il 2010 e il 2015. Si tratta di un contributo che fa letteralmente impallidire quello di qualsiasi altro Paese non africano.

Accanto a questo, troviamo poi gli investimenti che il Dragone ha dirottato nello sfruttamento di siti, minerari e non, altrimenti inutilizzabili dai governi locali: il nichel dallo Zimbabwe, il litio da Nigeria, Mali, Namibia e ancora Zimbabwe; manganese dalla Costa d’Avorio e dal Gabon; il cobalto dallo Zambia e dalla Repubblica Democratica del Congo, quest’ultima ricca anche di coltano, oro e rame; il titanio dal Mozambico; l’uranio dal Niger e, di nuovo, dalla Namibia; la bauxite dal Ghana e dalla Guinea.

Dall’altro lato troviamo gli Stati Uniti. I funzionari americani vorrebbero incrementare la propria influenza in Africa, sia per sopperire alla carenza globale di minerali che saranno sempre più necessari – entro il 2040 i produttori di tecnologie per l’energia pulita avranno bisogno di 40 volte più litio, 25 volte più grafite e circa 20 volte più nichel e cobalto rispetto al 2020 – sia per limitare l’influenza cinese sulle catene di approvvigionamento globali – la Cina raffina il 68% del nichel mondiale, il 40% del rame, il 59% del litio e il 73% del cobalto.

A proposito di cobalto, la Repubblica Democratica del Congo detiene più o meno il 70% della produzione globale di questo materiale; ebbene, nel 2020 soggetti cinesi possedevano o detenevano quote in 15 delle 19 miniere produttrici di cobalto locali.

La Cina ha intanto intensificato l’attività mineraria nazionale per ridurre la dipendenza dalle importazioni. All’inizio della pandemia, Pechino ha addirittura considerato di aumentare le sue enormi riserve statali di petrolio greggiometalli strategici e prodotti agricoli per resistere alle interruzioni dell’approvvigionamento che avrebbero potuto paralizzare la sua economia. Il governo cinese ha già costruito inventari statali di energia e minerali rilevanti, tra cui petrolio, rame, alluminio e zinco, e si sta espandendo in quelli fondamentali per il boom dei veicoli elettrici, come il cobalto. 

La risposta di Washington

Per scongiurare, o quantomeno rallentare, il predominio della Cina nel campo dei minerali critici, gli Stati Uniti stanno adottando tre strategie complementari. Come ha sottolineato l’Economist, Washington ha messo in campo uno sforzo multilaterale che coinvolge alleati occidentali, ha ordinato alle sue agenzie di sviluppo di finanziare i progetti legati ai suddetti ambiti e, last but not least, ha avviato una diplomazia più attiva in Africa.

Kamala Harris, vicepresidente degli Stati Uniti, ha ad esempio appena lasciato lo Zambia, ultima tappa del viaggio ufficiale nel continente che ha toccato anche il Ghana e la Tanzania (25 marzo – 2 aprile), per tornare in patria. Ai suoi interlocutori Harris ha ricordato che nel corso delle sue visite ha annunciato a favore dei Paesi africani investimenti pubblico-privati per sette miliardi di dollari per soluzioni innovative per la mitigazione del cambiamento climatico, l’adattamento e la resilienza e investimenti pubblico-privati per un miliardo di dollari per sostenere l’emancipazione delle donne, anche attraverso l’alfabetizzazione digitale.

Nel frattempo, gli Stati Uniti si sono impegnati a fornire aiuti per 100 milioni di dollari agli stati dell’Africa occidentale che si affacciano sul Golfo di Guinea per combattere l’estremismo e l’instabilità. E stanno pensando all’apertura di una base Africa Command proprio sulla costa occidentale del continente.  

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