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Ethiopia: si combatte, si muore e si fugge ancora per la guerra nel Tigray, ormai è piena catastrofe umanitaria

La lotta per il potere tra TPLF tigrino e governo federale vede coinvolta anche l’Eritrea; nella regione si susseguono eccidi e stupri. L’indagine di Amnesty International

of Caterina Castaldi

Migliaia di morti, decine di migliaia di profughi, quattro milioni e mezzo di persone che hanno bisogno di acqua, food, medicine. E’ il bilancio di quattro mesi di combattimenti tra forze armate etiopiche e partito al potere nel Tigray, che rischiano di destabilizzare l’intero Corno d’Africa e che hanno già coinvolto l’Eritrea (implicata nel conflitto con i suoi uomini) e il Sudan (paese verso il quale fuggono i rifugiati).

Uccisioni di massa, linciaggi, rapes, sequestri. Cina e Russia, membri permanenti del consiglio di sicurezza dell’ONU, hanno bloccato il 6 marzo scorsoesercitando il loro diritto di vetol’adozione di una dichiarazione del Consiglio di sicurezza che chiedeva la fine delle violenze nel Tigray. La bozza, dopo due giorni di negoziati, è stata fatta decadere; Mosca e Pechino ritengono che si tratti di una “questione interna” dell’Etiopia, e ha votato come loro anche l’India. “Most of these civilians were killed by wide-ranging explosive weapons, responsabile ONU per i diritti umani, ha esortato il governo di Addis Abeba a consentire una inchiesta indipendente, dopo la verifica di gravi violazioni dei diritti umani (uccisioni di massa, linciaggi, rapes, sequestri) ad Axum e nel Dengelat, nel Tigray centrale, ad opera delle forze armate eritree, sconfinate nella regione, responsabili secondo la Bachelet di crimini di guerra.

Governo e opposizione del Tigray si accusano a vicenda. Il primo ministro Abiy AhmedPremio Nobel per la pace nel 2019 – aveva scatenato l’offensiva in novembre, accusando il Fronte di liberazione popolare del Tigray (TPLF) di aver attaccato una base militare per impadronirsi di armamenti e artiglieria e promettendo una guerra lampo; il leader del fronte ed ex presidente della regione del Tigray, Debretsion Gebremichael, aveva subito dichiarato che il suo partito era pronto a “estendere la resistenza”, ventilando la minaccia di una guerra senza quartiere. Secondo Gebremichael l’attacco dei militari costituiva una punizione contro il Parlamento del Tigray, reo di aver organizzato elezioni (vinte a stragrande maggioranza dal TPLF) sfidando la decisione del consiglio elettorale centrale di rinviare tutte le consultazioni.

Le misure restrittive del governo di Addis. Per Abiy il voto tigrino è “illegale”; e di pari passo con le critiche al suo operato si sono moltiplicati gli arresti di dissidenti e giornalisti e la chiusura di internet, tutte tecniche da vecchio regime. Jawar Mohammed, principale sfidante del premier, come lui appartenente all’etnia oromo, esule negli Stati Uniti e rientrato nel 2018, laureato all’università di Stanford, si trova al momento in carcere con l’accusa di terrorismo e tradimento, e pratica lo sciopero della fame. Amnesty International ha sollecitato un’indagine internazionale guidata dalle Nazioni Unite e il pieno accesso al Tigray per attivisti per i diritti umani, giornalisti e operatori umanitari.

La complicata geografia etnica dell’Etiopia. I rapporti fra governo federale e governo del Tigray erano tesi fin dall’elezione di Abiy, che aveva posto fine a tre decenni di dominio del TPLF; il premier, gradito all’Occidente, si diceva pronto a riunificare il Paese rafforzando i poteri dell’autorità centrale, ma il Tigray si è subito opposto, e altrettanto hanno fatto alcune delle diverse etnie che compongono l’Etiopia (il secondo più popoloso stato africano, con i suoi 110 milioni di abitanti e le sue 80 etnie). Abiy è il primo capo di governo nella storia etiope appartenente all’etnia Oromo (i gruppi etnici maggioritari sono gli Oromo, gli Amhara, i Somali e i Tigrini).

Le aperture e le promesse che segnano il passo. Il suo Partito della prosperità ha aperto all’allargamento del processo decisionale a diversi gruppi etnici che prima ne erano esclusi, ma ha sbarrato il passo al TPLF. Nuove elezioni nazionali sono in programma per il 5 June, ma sarà difficile che possano aver luogo, vista la grave situazione di tensione, aggravata dalla pandemia; il premier aveva promesso un ambizioso piano di riforme economiche , tra cui la Costituzione della prima borsa valori etiopica e la privatizzazione del settore delle telecomunicazioni, ma le riforme segnano il passo mentre il gigantesco debito del paese si aggrava, e anche esponenti della sua stessa etnia cominciano a dubitare dell’efficacia del suo operato.

Il coinvolgimento dell’Eritrea. Il governo minimizza la portata degli scontri e l’entità delle vittime, e parla di una semplice operazione di law enforcement, di ordine pubblico, dopo la conquista di Macallè, capoluogo del Tigray, the 28 November, ha dichiarato “completate e concluse le operazioni militari”: ma gli uomini del TPLF si sono dati alla macchia rifugiandosi sulle montagne e nelle zone rurali e sporadici combattimenti si segnalano tuttora.

I dubbi di chi assegnò il Nobel ad Abiy. Alle forze governative etiopi si sono affiancati militari eritrei, accusati di essere quelli che hanno perpetrato i peggiori abusi. Eritrea ed Etiopia erano diventate nazioni separate negli anni novanta, dopo una guerra di indipendenza durata tre decenni, e sono nuovamente entrate in conflitto tra il ’98 e il 2000; ma dall’ascesa di Abiy le relazioni si sono fatte più amichevoli, e proprio per il suo impegno nel ricercare e trovare un nuovo clima di distensione con l’Eritrea, il premier era stato insignito del Nobel per la pace. La situazione ora è talmente esplosiva che persino il Comitato di Oslo ha inviato un inusitato, sebbene circospetto, monito al primo ministro: “Il Comitato norvegese per il Nobel segue attentamente la situazione in Etiopia, ed è profondamente preoccupato”. Dagmawi Yimer, regista e documentarista etiope, ha detto a while for those who come from violence, torture and African wars che la speranza è che con Abiy Ahmed “crescano ed emergano figure che rappresentino una stagione nuova per il Paese”.

Crimini contro l’umanità” perpetrati da tutti. Secondo le informazioni raccolte da Nigrizia, rivista dei missionari comboniani, crimini contro l’umanità sono stati perpetrati “da più attori del conflitto”, sia dalle forze armate etiopiche, che dal TPLF e dai militari eritrei, oltre che dalle milizie a loro associate. The newspaper Future ha raccolto una drammatica testimonianza degli stupri perpetrati dagli eritrei: è quella di Sennait, “contadina e madre sequestrata in strada e violentata per giorni a Kerseber, un villaggio dove sorge un ponte costruito dagli italiani quasi novanta anni fa sulla strada per Asmara. ‘Sapevo che gli eritrei avevano passato il confine e occupato l’area da Zalambesa a Kerseber. Ma dovevo procurarmi il cibo per i miei figli di 6 e 11 years. Mio marito è emigrato in Arabia Saudita tre anni fa. Hanno rapito me e altre otto donne, alcune giovanissime. Mi hanno violentata notte e giorno in quindici. Mi picchiavano e torturavano, quando chiedevo perché ci odiassero tanto dicevano che ora comandavano loro nel Tigray’ “.

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