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Hazara, un’etnia vittima di persecuzione e genocidio in Afghanistan

Chi sono gli hazara? Perché sono vittime di persecuzione e genocidio in Afghanistan? Ecco la storia di questa etnia

di Sara Del Dot

Era il 30 settembre 2022. A Kabul, in Afghanistan, un uomo si era fatto esplodere in un attacco kamikaze davanti a una scuola nel quartiere di Dasht-e-Barchi, dove vivono prevalentemente persone hazara, uccidendo 53 bambine e ragazze e ferendone oltre 82. Si trovavano lì per frequentare le lezioni, studiare, dare gli esami.

Erano quasi tutte hazara. Nei giorni successivi si tennero diverse manifestazioni in tutto il Paese, al suono di Stop Hazara Genocide e Let Afghan Girls Learn. Non erano le prime e non sarebbero state nemmeno le ultime. Appena pochi mesi dopo, altri due attentati in altrettante strutture scolastiche. Sei morti.

Perché quella della persecuzione del popolo hazara è una questione che inizia da lontano.

Hazara, storia di un popolo resistente
«Frequentavo l’università a Kabul, ero con una mia collega e dovevamo dare un esame. Io ero molto più preparata, ma ho ricevuto un voto molto basso. Quando l’ho fatto notare, il professore mi ha risposto che avrebbe dato le valutazioni che voleva. Solo perché io ero di etnia hazara e lei no. E questo capita molto spesso, i ragazzi e le ragazze hazara vivono costantemente episodi di discriminazione di questo genere».

Shahrbanu Haidari è una ragazza di 33 anni originaria della provincia del Bamyan, al centro della regione Hazarjat (o Hazaristan) e oggi centro culturale hazara, luogo divenuto tristemente celebre anche in Occidente nel 2001 per la distruzione, ad opera dei talebani, dei due Buddha giganti scolpiti nella roccia.

È lei a raccontare cosa significhi appartenere a un’etnia da sempre abituata alla discriminazione, che può manifestarsi dal gesto più piccolo, con un voto ingiusto assegnato a un esame, fino a soprusi, violenze e uccisioni efferate. Quella del popolo hazara è infatti la storia di una resistenza passata attraverso tutto il dolore della storia. Anche quello di un vero e proprio sterminio.

Donna hazara a Behsud, Afghanistan – Foto: Nasim Fekrat (via Flickr)

Chi sono gli hazara

Gli hazara sono un gruppo etnico di religione prevalentemente islamica sciita. Vivono principalmente in Afghanistan (paese a maggioranza sunnita), alcuni anche in Pakistan e Iran, dove hanno trovato rifugio.

Non esiste un censimento esatto, ma fino a circa 140 anni fa costituivano circa il 65% degli abitanti dell’Afghanistan. Poi, alla fine del 1800, il neo-insediatosi re Abdul Rahman avviò una persecuzione etnica e religiosa che portò allo sterminio di circa il 60% della loro popolazione, l’esproprio delle terre regalate a contadini pashtun, la riduzione in schiavitù di donne e bambini, l’isolamento delle loro comunità lontano dai centri in cui avevano vissuto fino ad allora.

«Gli hazara sono stati mandati via a forza dalle loro terre e si sono spostati sulle montagne, in zone molto più povere. Essendo sciiti sono considerati infedeli», spiega Haidari.

Da allora il popolo hazara ha sempre faticato a riemergere dall’isolamento e dalla discriminazione. Ripiombando nella spirale di violenza e persecuzione dopo la prima presa di potere dei talebani negli anni Novanta e poi nel 2021, con il loro ritorno alla guida del Paese.

Lo sterminio degli hazara è infatti proseguito e prosegue ancora oggi, per mano di Daesh e, appunto, dei talebani, che promossero una vera e propria pulizia etnica, sia quando presero il potere negli anni Novanta (da ricordare il massacro di Mazar-i Sharif nel 1998, quando sterminarono tra gli 8 e i 10 mila hazara), sia dopo l’agosto 2021, con il loro ritorno alla guida del Paese, come testimoniano gli attentati degli ultimi tempi.

«Negli ultimi dieci anni sono stati uccisi e perseguitati da Daesh e talebani anche a bordo dei pullman che uniscono Kabul alle province Hazara. Vengono riconosciuti per il loro aspetto, soprattutto la forma più allungata degli occhi che li connota chiaramente».

Claudio Concas, dottorando presso l’Università Bicocca di Milano e autore del libro “Voci dall’Hazaristan”, parte della pochissima letteratura sul popolo hazara presente in Italia e in generale in Europa, ha trascorso anni a intervistare e parlare con decine persone per capire quanto più possibile della loro storia e del loro presente. «È importante che si capisca chi sono gli hazara e cosa hanno subito, ci vuole consapevolezza, bisogna riconoscere quello che è un vero e proprio genocidio».

Gruppo di uomini hazara in Afghanistan – Foto: WkiAllahd (via Wikimedia Commons)

Il valore dell’educazione nella cultura hazara
Gli uomini, ma soprattutto le donne hazara, vedono l’educazione come la soluzione ai loro problemi. Quella stessa educazione che sembra essere il nemico numero uno di chi oggi governa il Paese e degli estremisti islamici.

«La maggior parte degli hazara non ha mai avuto problemi a fare andare le ragazze a scuola e all’università e anche a farle lavorare. La loro opinione conta e anche il loro ruolo all’interno della società», racconta Sharbahanu Haidari. Una visione in contrasto con quella di chi all’istruzione ha dichiarato guerra.

«A differenza di vent’anni fa, oggi ci sono moltissime persone in Afghanistan che internamente stanno provando forme di resistenza molto diversificate», racconta Concas. «Classi online, centri studio, borse di studio all’estero. Molti stanno cercando di mettere in pratica la consapevolezza che una società diversa è possibile davvero».

«Se cerca un lavoro in Afghanistan, è difficile che un hazara ne ottenga uno in ruoli decisionali». Racconta Haidari. «Per questo abbiamo sempre cercato di studiare sempre di più. Perché l’educazione è sempre stata il nostro mezzo per trovare lavori migliori, per trovare vie di emancipazione. Anche cercando di ottenere borse di studio fuori dal Paese, andando a scuola, all’università».

Afghanistan: cosa è cambiato per gli hazara dopo l’agosto 2021
Dopo il 2021 tutto è caduto nel caos. «In questi ultimi due anni si sono verificati oltre 50 attentati contro gli hazara», spiega Concas.

Dalla loro ripresa di potere i talebani hanno subito ripreso la persecuzione degli hazara, colpendo per primi coloro che si trovavano in posizioni decisionale o di potere, spostandoli di ruolo, licenziandoli e sostituendoli con altre persone, anche se meno competenti.

«I talebani ora rappresentano sia il potere sia la sicurezza. Quindi, fondamentalmente, possono fare ciò che vogliono», dice.

«Gli hazara non hanno più accesso nemmeno alla giustizia. Non possono fare ricorso in tribunale per decisioni arbitrarie negative che li riguardano. Se anche comparissero davanti a un giudice per un’ingiustizia subita, nessuno potrebbe aiutarli. E anche per quanto riguarda gli aiuti umanitari, risultano svantaggiati. Nessuno ci vede, nemmeno i giornalisti che spesso ci guardano e non si accorgono neanche che siamo afghani».

I talebani stanno portando via tutto, l’opportunità di crescere, di lavorare. E bombardano le scuole per impedire alle bambine di imparare. Anche a causa di questo, moltissimi hazara hanno lasciato il Paese imbarcandosi in percorsi migratori pericolosi che non sempre li hanno allontanati dalle discriminazioni subite nel Paese di origine.

Anche Shahrbanu è stata costretta ad andarsene. È arrivata in Italia con un programma di evacuazione governativo il 26 agosto 2021, pochi giorni dopo la presa di potere dei talebani a Kabul in seguito alla ritirata delle truppe americane. Oggi frequenta un master in studi della pace all’Università americana di Roma ed è presidente di un’associazione di solidarietà per le donne Afghane creata assieme ad altre sei compagne.

«È molto difficile per me. Se penso alla mia gente, alla mia famiglia… Anche ora che sto cercando nei miei studi di fare ricerca sulla situazione degli hazara, è molto pesante emotivamente. Quando provo a scrivere o parlare del mio popolo a volte semplicemente devo fermarmi e distrarmi perché mi intristisco. Ma è la mia storia e devo farlo. Anche se sono arrabbiata. Il mondo deve ricordarsi di noi. Se ci dimenticano, i talebani faranno tutto ciò che vogliono di noi».

Osservatorio Diritti

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