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Il coronavirus come le epidemie ‘importate’ del passato: gli indigeni dell’Amazzonia potrebbero essere decimati dalla pandemia.

Il monito viene lanciato da Sofia Mendonça, ricercatrice dell’Università Federale di San Paolo (Unifesp) e coordinatrice del progetto ‘Xingu’

di Mario Di Ciommo

Esiste un grosso rischio che il coronavirus si diffonda tra le comunità indigene della Foresta Amazzonica provocando un genocidio”. Il monito viene lanciato da Sofia Mendonça, ricercatrice dell’Università Federale di San Paolo (Unifesp) e coordinatrice del progetto ‘Xingu’, che promuove la salute delle popolazioni indigene nel bacino del fiume Xingu, negli stati del Mato Grosso e del Pará, in Brasile.
La studiosa arriva anche a comparare gli effetti dell’epidemia con quelli di altre malattie infettive, come il morbillo, introdotte nella foresta in passato e che ebbero effetti devastanti su una grande fetta della popolazione locale.

Proprio il ricordo delle malattie passate, tramandato tra le generazioni, potrebbe portare le comunità che vivono in vasti territori a dividersi in gruppi più piccoli e a cercare riparo nei meandri della foresta, allontanandosi così dalle zone di confine dell’Amazzonia. “Probabilmente alcuni gruppi si doteranno dei materiali di cui hanno bisogno per cacciare e pescare e creeranno accampamenti, aspettando lì fino a quando l’emergenza sarà terminata”, aggiunge Mendoça.

SCARSE RISORSE – A preoccupare la ricercatrice in ogni caso sono le scarsissime risorse a disposizione degli indigeni. I metodi utilizzati nelle aree urbane per ridurre il contagio, come il lavarsi le mani con sapone o alcool in gel, sono pressoché inesistenti in molti villaggi. Ecco perché l’obiettivo della studiosa è quello di concentrare tutti gli sforzi per impedire al virus di raggiungere le comunità e, in casi estremi, di cercare di isolare le persone infette.

GARANTIRE L’ISOLAMENTO – Proprio per questo la stessa Mendoça e tante organizzazioni brasiliane hanno dato il via a catene di messaggi su whatsapp e lanciato appelli via radio per sospendere i viaggi e impedire l’ingresso ai turisti nelle zone abitate dalle comunità. Nelle ultime settimane molti gruppi indigeni hanno cancellato gli incontri e i riti aperti ai visitatori. Per questa ragione anche l”Acampamento Terra Livre’, il principale evento del movimento indigeno brasiliano, che si tiene tutti gli anni ad aprile a Brasilia, è stato cancellato.

MALATTIE INFETTIVE CON ALTO TASSO DI MORTALITÀ – “Ma nonostante tutte le misure che possono essere introdotte, ci sono in ogni caso tante possibilità che il virus raggiunga i villaggi e a quel punto sarà necessarrio isolare i contagiati prima che infettino altri membri della comunità”, continua la ricercatrice. In questo contesto le consuetudini degli indigeni non aiutano: la condivisione di utensili come le ciotole o gli aggregamenti nelle case sono abitudini che tendono ad aumentare il potere contagioso delle malattie infettive. Per avere un’idea dell’elevato rischio che corrono gli indios basta spulciare i dati forniti dal Ministero della Salute brasiliano. Nel 2018 le malattie infettive e parassitarie sono state responsabili del 7,2% dei decessi tra gli indigeni, contro una media nazionale del 4,5%.

PERICOLO ESTERNO – Ma se una parte di indigeni che vive in Amazzonia è in qualche modo contattabile, ci sono decine e decine di gruppi in isolamento totale che non hanno alcun contatto con le autorità. Secondo Funai, la Fondazione nazionale brasiliana degli indigeni, sono 107 le aggregazioni sparse in tutto il territorio dell’Amazzonia brasiliana. Molti territori abitati da queste popolazioni sono spesso presi di mira da cacciatori, taglialegna, cercatori e missionari: tutti ‘estranei’ che possono veicolare il virus.

INDAGATO MISSIONARIO EVANGELICO AMERICANO – E’ anche in quest’ottica che si legge il provvedimento del Ministero pubblico federale (MPF), che ha chiesto alla polizia federale di indagare sulla denuncia presentata dai leader indigeni delle tribù Marubo e Mayoruna in merito a una spedizione preparata dal missionario evengelico americano Andrew Tonkin nella valle di Javari, in Amazzonia. Il pastore, secondo le accuse, era in procinto di viaggiare nelle zone più remote della foresta.

RITIRO NELLA FORESTA – Intanto due comunità indigene che hanno contatti con le aree urbane hanno deciso di ritirare le loro tribù nelle zone interne della Foresta Amazzonica. Si tratta delle popolazioni Awa Guaja e Guajajara, entrambe nello stato Maranhão, nel Nord-Est del Brasile. I capi delle comunità, dopo aver appreso dalle autirità federali della diffusione del coronavirus in tutti gli stati del Brasile, hanno deciso di indire delle assemblee straordinarie. Queste hanno portato alla decisione immediata di rifugiarsi nelle zone interne della foresta.

Stando ai dati forniti da ‘Sesai’, la segreteria speciale per la salute indigena, al momento non ci sarebbero infezioni confermate del nuovo coronavirus tra gli indigeni. I contatti con i centri urbani di alcuni capi tribù potrebbero però aumentare i rischi. A Manaus, capitale dello stato federale dell’Amazzonia, ci sono finora 45 casi confermati di coronavirus.
La mancanza di strutture nelle zone più remote non renderebbe possibili le cure necessarie per gli eventuali contagiati. Territori sconfinati di foresta, distanti spesso anche più di mille chilometri dal primo centro urbano, non permetterebbero in alcun modo il trasporto di pazienti. Il rischio di una catastrofe esiste.

la Repubblica

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