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Il malterritorio e il conflitto generazionale

di Antonio Cipriani

Scrive un autore e attore teatrale, Alessandro Berti, al quale mi lega antica amicizia, che i giovani sono sensibili sulle questioni del cambiamento climatico e dell’ingiustizia generazionale, mentre i meno giovani sono sostanzialmente scettici. In pratica se ne fregano. Il suo osservatorio privilegiato è stato un teatro a Bologna in cui ha messo in scena per due settimane uno spettacolo sugli effetti dei cambiamenti climatici.

Come dire: gli autori del disastro lo negano, mentre le vittime lo vedono. Eppure siamo tutte vittime, chi più e chi meno. Ma alcuni, per una questione di età, sembrano assuefatti all’ingiustizia, appaiono privi di anticorpi democratici, non guardano al bene comune e al futuro di tutti e neanche al bene personale congiunturale: sono ormai abituati a pensare che l’unico bene sia incarnato dal profitto e dal vantaggio privato di pochi. Ed essendo il profitto di pochi, per sua natura, intriso di ingiustizie e paraculate, pensano sia giusto che il mondo vada così.

I giovani invece, giustamente, si ribellano. E che devono fare di fronte a genitori perduti in una narrazione tossica? Come devono agire davanti a una classe dirigente evidentemente incapace che si preoccupa di colpevolizzarli senza mai porsi un dubbio sulle cause del disastro culturale e ambientale in cui viviamo?

Se poi i nostri figli si ribellano alzando lievemente la voce – neanche mettendo a ferro e fuoco le città – sono criminalizzati. Come se protestare di fronte a un’ingiustizia palese fosse un reato più grave che permettere la costruzione di fabbriche, capannoni industriali o quartieri nelle zone alluvionali, oppure l’abbattimento dei boschi, o la cementificazione per impermeabilizzare tutto per poi piangere lacrime da coccodrillo in caso di alluvioni, frane, distruzioni ambientali, morti ed emergenze costosissime per la collettività.

Che alla fine il senso è sempre lo stesso. Non si tratta di maltempo ma di malterritorio. Perché il negazionismo è talmente forte, con i terrapiattisti al potere, che per loro la colpa, se non è di Greta, è del caso cinico e baro. È sempre colpa del caso. Mai di una classe dirigente opaca, politica e imprenditoriale, perdutamente innamorata di asfalto e cemento. E su questo, purtroppo, sono troppo opache le distinzioni nella politica.

Perché la destra fa la destra, è per sua natura antiecologista e per il profitto a qualunque costo, ma l’alternativa dovrebbe mettere in campo una visione meno miope del greenwashing per sdoganare efferatezze culturali e ambientali, con narrazioni tossico-fighettine stile Bosco verticale per difendere il fortino dell’uso comunque spregiudicato del territorio.

Così torno alla riflessione di Berti e del suo teatro. I giovani hanno armi diverse dalle nostre. Devono sovvertire l’assenteismo culturale crescente dei genitori. Riprendersi in mano la vita e il futuro. Il conflitto rischia di diventare generazionale. E forse è un bene.

REMOCONTRO

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