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In Iran la protesta contro la ‘Polizia morale’ per la morte di Mahsa è diventata rivolta politica

Sarebbero almeno 31 civili uccisi in Iran dall’inizio delle manifestazioni, represse dalle forze di sicurezza, per la morte di Mahsa Amini, la 22enne deceduta mentre era sotto la custodia dalla ‘polizia morale’ per non aver indossato correttamente lo hijab. Lo ha denunciato ‘Iran Human Rights’ che ha sede ad Oslo.
Proteste soprattutto giovanili in tutte le grandi città iraniane, con tante donne che si sono tolte l’hijab e lo hanno bruciato. O il taglio pubblico dei capelli. «Rivoluzione delle donne: con il velo brucia il regime»

Se l’Iran si toglie il velo
Per il sesto giorno consecutivo in Iran è in corso e sta crescendo il violento circolo di proteste e repressioni innescate dall’uccisione della giovane curda Mahsa Amini. La ventiduenne è morta dopo essere stata arrestata dalla ‘polizia morale’ di Teheran per non aver rispettato le norme su come indossare l’hijab’. Il regime teocratico accusa imprecisati agenti occidentali di aver infiltrato le proteste, mentre sullo sfondo politico di portata internazionale, di registra l’ennesimo stallo negli accordi sul nucleare.

Cosa è accaduto a cosa sta accadendo
Secondo le ricostruzioni la ragazza sarebbe stata arrestata lo scorso 13 settembre perché non indossava correttamente il velo. Portata in una caserma della Gasht-e Ershad, cioè la polizia ‘per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio’, ne è uscita incosciente ed è morta dopo tre giorni di coma in ospedale. Gli agenti negano di averla picchiata e torturata, e il capo della polizia ha parlato di “sfortunato incidente causato da problemi fisici preesistenti”. Ma la loro versione non convince e le manifestazioni si diffondono a macchia d’olio nel paese.

Dal Kurdistan iraniano al resto del Paese
Epicentro della protesta è il Kurdistan iraniano, la provincia natale di Amini, ma negli ultimi giorni raduni con slogan contro la Repubblica islamica e la Guida Suprema, Ali Khamenei, si sono estesi anche alle università di Teheran, Tabriz e Yazd e in città come Isfahan. Le autorità hanno reagito con il pugno di ferro e finora, secondo la tv di stato, almeno 31 persone sarebbero morte in scontri con le forze dell’ordine. Così riferisce l’agenzia Ansa e rilancia ISPI.

La protesta corre sul web
La protesta ha varcato i confini della Repubblica islamica grazie ai numerosi video circolati in rete in cui, durante i raduni di piazza, molte donne bruciano il loro hijab o se lo levano dal capo. Alle manifestazioni si è unito anche un noto calciatore di Teheran, Zobeir Niknafs, che ha pubblicato sui social un video in cui per solidarietà si rasa i capelli, come stanno facendo da giorni numerose donne, in segno di lutto.

MahsaAmini

L’hashtag #MahsaAmini continua ad essere uno dei più visualizzati sui social network come Twitter e Instagram. Qui, come già accaduto in passato in altri paesi della regione, la rete è diventato il canale privilegiato su cui circolano notizie e si organizzano le proteste. Il governo ha bloccato l’accesso a internet. Importante segnale, sottolinea su ISPI la ricercatrice Bazoobandi, «per la prima volta queste ragazze non sono sole. Ci sono tanti uomini accanto a loro».

Oppressione continua?
Intervenendo mercoledì all’Assemblea Generale dell’Onu a New York, il presidente iraniano Ibrahim Raisi non ha menzionato le manifestazioni né fatto il nome di Mahsa Amini, ma ha criticato i paesi occidentali per i loro “doppi standard sulle donne e le loro reazioni a un incidente sotto inchiesta in Iran”. Il presidente iraniano ha poi rifiutato di concedere a Christiane Amanpour un’intervista già concordata con la Cnn, poiché la giornalista non ha accettato di indossare il velo a New York.

Abolizione della ‘Polizia morale’
I manifestanti intanto chiedono l’abolizione della polizia morale. Una decisione che difficilmente incontrerà il consenso del presidente. Intransigente esponente dei conservatori, fin dalla sua ascesa al potere Raisi ha ristretto il margine di dissenso nel paese, imponendo regole ancor più severe sull’abbigliamento femminile che includono l’introduzione di telecamere di sorveglianza e multare chiunque violi le regole sul velo.

La protesta popolare fa paura
Non è la prima volta che il regime iraniano si trova a confrontarsi con la rabbia e la frustrazione dei cittadini iraniani, segnala ancora ISPI. Nel 2009 le proteste innescate dall’uccisione di Neda Agha Soltan, studentessa 26enne, colpita al petto da un proiettile mentre manifestava dopo una contestata tornata elettorale, arrivarono a scuotere la Repubblica islamica fino alle fondamenta. Dieci anni dopo, nel 2019, gli iraniani sono tornati in piazza per protestare contro il carovita, in proteste che si sono rapidamente trasformate in contestazioni politiche represse con la forza.

«Da allora le autorità hanno investito su alcuni tra i più pervasivi sistemi di controllo e sicurezza digitale della regione, costringendo al silenzio ogni forma di dissidenza».

«Rivoluzione delle donne: con il velo brucia il regime»
Sul Manifesto l’intervista di Chiara Cruciati al regista curdo-iraniano Fariborz Kamkari: «Non è una semplice rivolta: riguarda tutto il paese, non solo il Kurdistan o il sud est arabo, e coinvolge tutte le classi sociali, non solo i poveri o la classe media. E non è esplosa per la povertà: la gente chiede libertà, dice no alla natura stessa della Repubblica islamica»

Fariborz Kamkari

  • Non è una rivolta di quelle che ormai si verificano ogni anno: stavolta ha le caratteristiche di una rivoluzione. Per quattro motivi.
  • Primo, per la prima volta in 43 anni riguarda tutto il paese e non solo una sua parte, che sia il Kurdistan o il sud est a maggioranza araba, come accaduto due settimane fa, proteste subito sedate.
  • Secondo, partecipano tutte le classi sociali: in passato abbiamo assistito a proteste della piccola borghesia, altre volte della classe bassa. Stavolta partecipano poveri, lavoratori, classe media.
  • Terzo, non ci si è mobilitati per motivi economici, la gente sta chiedendo libertà.
  • Quarto, è completamente fuori dal controllo di qualsiasi organizzazione interna al regime che per anni ha mostrato una doppia faccia, riformisti contro conservatori. Oggi la rivolta è contro il regime in sé e lo si capisce dalla reazione compatta di tutte le forze politiche.

Bruciare il velo è bruciare la bandiera: questo regime ha usato il velo come rappresentazione della propria ideologia. Oggi la gente dice no all’intero sistema politico del paese, alla natura stessa della Repubblica islamica.

REMOCONTRO

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