Browse By

L’allarme dell’ong: “In Africa non ci sono terapie intensive. Si rischia un’ecatombe”

Don Dante Carraro, direttore di Cuamm Medici con l’Africa: “Tamponi inutili perché i laboratori sono pochissimi. Se si dovesse appurare che ci sono dei contagiati, non ci sono i posti dove farli stare”

In Africa non ci sono terapie intensive, nè anestesisti rianimatori. I tamponi sono letteralmente inutili perchè i laboratori sono pochissimi, solo uno per ogni singola capitale e alcune ne sono sprovviste: se il contagio da Coronavirus si diffonde, per questo continente è un’ecatombe”. a descrivere la fragilità e il rischio che sta correndo l’Africa è Don Dante Carraro, direttore di Cuamm Medici con l’Africa, grande ong italiana che per prima, ormai da 70 anni, opera in quei Paesi ed è presente in 23 ospedali in Sud Sudan, Etiopia, Repubblica Centrafricana, Uganda, Tanzania, Mozambico, Angola. Il Cuamm offre formazione, clinica, medici, rifornimento farmaci.

“Sono un cardiologo che dopo la laurea e la pratica a Padova, a 33 anni ha preferito farsi prete. Era il 1994. Oggi, anche se la mia specializzazione non è specifica sul fronte dell’epidemia, ho dato comunque la disponibilità all’ospedale della mia città nel caso avessero bisogno di me”, racconta Don Dante. E riferisce che nelle ultime due settimane circa 1.250 medici del Servizio sanitario nazionale che si erano messi in aspettativa nei mesi e negli anni scorsi per lavorare in Africa, sono tornati in Veneto e Lombardia al loro posto, tra l’altro all’ospedale di Cremona e al Sacco di Milano.

La preoccupazione trapela dalle sue parole, perché se è vero che “in Africa hanno ancora addosso le ferite dell’Ebola, e alle epidemie fanno molta attenzione, è pure difficilmente immaginabile che tra le migliaia di lavoratori cinesi rientrati nei Paesi africani tra dicembre e oggi non ci sia neppure un contagiato da Covid-19 che abbia infettato altri. Non escludo che in giro per l’Africa ci siano morti di cui non si conosce la causa. Semplicemente non si sa che è per il virus”.

Del resto, come spiega lui stesso, fare una diagnosi è molto difficile: anche se ci sono gli stick per i tamponi, non ci sono i laboratori. “La diagnosi la possiamo fare ai sintomatici con una lastra lì dove c’è un reparto di radiologia. Ma dai medici si presenta solo chi sta male, chi non ha sintomi non si vede, infetta gli altri e non lo sa”.

Al momento, dice Don Dante, che è appena rientrato dal Sud Sudan (Paese che non ha un laboratorio di microbiologia neppure nella capitale Juba), “non stiamo usando i kit per la diagnosi rapida perchè l’Oms sta ultimando le verifiche sull’affidabilità e nessuno si fida ad usarli”.

Ma forse ancor più raggelante è che i pazienti africani, pur in presenza di diagnosi da Covid-19, non abbiano la possibilità di essere curata con la respirazione assistita delle terapie intensive. Su 54 Paesi africani esiste un reparto di terapia intensiva con 4-5 posti solo nelle capitali, e non in tutte: mediamente, per una popolazione di un miliardo e 216 milioni di abitanti ci sono solo 270 posti letto in terapia intensiva. Una cifra che fa rabbrividire al solo pensiero che l’epidemia prenda piede in Africa.

“Fino a ieri – dice il direttore del Cuamm – i casi accertati in tutta l’Africa erano 417, oggi 476. Ieri i morti certi erano 7, oggi 10”. E si rammarica del fatto che in due Paesi, nella Repubblica Centrafricana e in Angola, a portare il virus siano stati proprio due italiani: il primo un missionario di ritorno dalle ferie in Veneto prima che scattassero le misure, un altro in viaggio dalla Cina a Lagos.

“Adesso non so bene quando posso tornare in Africa”, conclude Don Dante, “un po’ per le chiusure, un po’ perché rischio di essere messo in quarantena all’arrivo e in Africa, a parte l’hub di Addis Abeba, non ci sono strutture di bio-contenimento per l’isolamento. E questo è un altro grande problema per le persone: se si dovesse appurare che ci sono dei contagiati, non ci sono i posti dove farli stare”.

HUFFPOST

Please follow and like us: