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Myanmar, centinia di civili colpiti dalle mine antiuomo durante la guerra civile

Le forze armate birmane usano le mine antiuomo dal 1999, ma il loro uso è aumentato drasticamente dopo il colpo di Stato militare. Secondo il rapporto Landmine Monitor Report 2022, da febbraio 2021 a settembre 2022 sono 157 i civili uccisi e 395 quelli feriti da questi ordigni esplosivi

di Fabio Polese

Da febbraio 2021 a settembre 2022, 157 civili sono stati uccisi e 395 feriti da mine antiuomo e residuati bellici esplosivi in Myanmar.

A denunciarlo è il nuovo rapporto Landmine Monitor Report 2022, pubblicato recentemente da una serie di organizzazioni umanitarie che fanno parte della Campagna internazionale per la messa al bando delle mine.

Il documento conferma quello che più volte hanno dichiarato le fonti locali, ovvero che i soldati della giunta militare piazzano gli ordigni intorno a villaggi, lungo i sentieri, vicino alle infrastrutture per le telecomunicazioni e alle condutture energetiche, e nei pressi di chiese, fattorie e campi coltivabili per impedire che la popolazione abbia accesso ai mezzi di sostentamento.

Secondo il rapporto, le truppe hanno anche utilizzato i civili come scudi umani facendoli camminare davanti ai soldati per far esplodere eventuali mine.

Guerra civile in Myanmar: mine antiuomo aumentate dal colpo di Stato
Le forze armate birmane usano le mine antiuomo dal 1999, ma l’uso di queste armi è aumentato drasticamente dopo il colpo di Stato del 1° febbraio 2021, soprattutto nelle zone etniche, dove gruppi di difesa popolare si sono uniti alle guerriglie armate, iniziando a conquistare diverse parti di territorio.

Il trattato di messa al bando delle mine del 1997 proibisce le mine antiuomo e ne richiede la rimozione, la distruzione degli stock e l’assistenza alle vittime. «Sebbene il Myanmar non sia parte del trattato, l’uso da parte della giunta rimane illegale: le mine antiuomo non discriminano tra civili e combattenti. Uccidono e feriscono anche molto tempo dopo essere stati piazzati», si legge nel documento.

Una mina antiuomo TS50 – Foto: Lamacchiacosta 

Conflitto in Myanmar oggi: la testimonianza di una giovane donna
«Stavo andando a raccogliere il riso, quando all’improvviso una mina è saltata», racconta in esclusiva ad Osservatorio Diritti Ma Noi, una giovane donna di trent’anni rimasta senza una gamba in un piccolo villaggio nella borgata di Demoso, nello Stato Karenni (o Kayah), dove i combattimenti contro la giunta al potere sono tra i più cruenti del Paese.

«Spero di riuscire a mettermi una protesi, ma in ogni caso la mia vita non sarà più come prima. Dovrò abituarmi a convivere così», dice mentre si trova in un ospedale clandestino, nascosto tra la fitta vegetazione della giungla, specializzato proprio nella cura delle ferite provocate dalle mine.

Molte strutture sanitarie gestite dai gruppi etnici armati e dal Movimento di disobbedienza civile (Cdm) sono state colpite da attacchi aerei e mortai dall’esercito birmano, per questo si trovano in località segrete.

Guerra in Myanmar: le mine avranno effetti devastanti per molti anni
«L’uso depravato da parte dei militari delle mine antiuomo nelle case e nei villaggi continuerà ad avere effetti devastanti sui civili per gli anni a venire», ha dichiarato in un rapporto di luglio Rawya Rageh, consigliere senior di Amnesty International.

«Sappiamo per amara esperienza che le morti e i feriti tra i civili aumenteranno nel tempo e la diffusa contaminazione sta già impedendo alle persone di tornare alle loro case e ai terreni agricoli».

«Il mondo deve rispondere con urgenza alle atrocità dei militari contro i civili in tutto il Myanmar. I paesi di tutto il mondo devono interrompere il flusso di armi verso il Myanmar e sostenere tutti gli sforzi per garantire che i responsabili di crimini di guerra affrontino la giustizia», ha aggiunto Rageh.

Amnesty ha spiegato che l’esercito del Myanmar produce e utilizza comunemente mine terrestri M-14, che possono staccare il piede di una vittima, e le più potenti MM-2, che possono staccare la gamba di una persona fino all’altezza del ginocchio.

Aung San Suu Kyi – Foto: Claude TRUONG-NGOC 

Le Nazioni Unite chiede di porre fine alle violenze in Myanmar
La settimana scorsa il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la sua prima risoluzione sul Myanmar dopo il colpo di Stato militare. Nel documento si chiede alla giunta guidata dal generale Min Aung Hlaing di liberare tutti i prigionieri politici, inclusa la deposta consigliera di Stato Aung San Suu Kyi e l’ex presidente Win Mying, e si sollecita la fine della violenza.

La risoluzione, proposta dal Regno Unito, è passata con dodici voti a favore e, soprattutto, con nessun voto contrario. Cina, India e Russia, infatti, si sono astenute.

In passato, facendo leva sul proprio diritto di veto, Pechino e Mosca erano state pronte a bloccare qualsiasi tentativo del Consiglio di sicurezza di condannare il golpe militare e la giunta di Min Aung Hlaing. Un segnale forte per i generali birmani, storici amici delle due potenze.

Osservatorio Diritti

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