Quel gioco tra padre e figlio: la vita nonostante tutto
L’immagine scattata dal fotografo turco Mehmet Aslan ha vinto il Siena International Photo Awards. Munzer ha perso la gamba sotto le bombe, Mustafa è nato senza arti. Eppure giocano
Ci sono milioni di immagini che scorrono senza lasciare traccia nel nostro andare quotidiano fra gli schermi di computer e telefonini, su canali media e social. E poi arriva la foto. Quello scatto capace di scuoterci più di qualunque parola, di qualunque post o racconto. Imponendoci di fermarci, di riflettere, di uscire dalla bolla dell’indifferenza.
C’è una foto che da ieri ha calamitato l’attenzione di tutti, costringendo a puntare gli occhi sul dramma del popolo siriano. Ritrae un padre mutilato di una gamba che si regge su una stampella e gioca con il suo piccolo di cinque anni, Mustafa, nato senza arti inferiori e superiori per una malformazione, la tetramelia, causata dall’assunzione di farmaci dalla madre, colpita durante la guerra dal gas nervino.
Padre e figlio sorridono. Ricordano l’umanità possibile, nonostante “La difficoltà della vita”, il titolo dell’immagine scattata dal fotografo turco Mehmet Aslan che ha vinto il Siena International Photo Awards, il prestigioso concorso fotografico a cui partecipano artisti di 163 Paesi.
“Volevamo attirare l’attenzione su questo caso“, ha continuato il fotografo, sperando che l’immagine possa contribuire alla ricerca di protesi del bambino rifugiato.
Il padre si chiama Munzer El Mezhel, nel 2006 si trovava nel mercato di Idlib con la moglie incinta, quando una bomba scagliata da un aereo del regime di Damasco è esplosa poco lontano. Lui ha perso la gamba, la moglie si è salvata.
Ma Mustafa nascerà poi senza arti. “Abbiamo cercato per anni di farci sentire per aiutare mio figlio con i trattamenti, faremmo di tutto per dargli una vita migliore”, ha detto al Washington Post la madre del piccolo, Zeinab. “Quella foto ora è arrivata al mondo”. A ricordare che c’è una guerra che miete vittime, ogni giorno.
Come quella del piccolo Alan Kurdi, il bambino siriano di tre anni, di etnia curda, disteso senza vita sulle spiagge vicino Bodrum, divenuto il simbolo del dramma dei migranti in Europa, nel 2015. Dopo sei anni, la tragedia non è finita, c’è un popolo in fuga e bambini che soffrono. Quello scatto fece il giro del mondo, ci sconvolse. Ma non ha avuto la forza di cambiare la storia.
Probabilmente non lo farà neanche la foto di Mustafa con il suo papà. Ma ci impone di fermarci. Di provarci. Senza arrenderci all’ennesima “prova di una indignazione a intermittenza”, per usare un’espressione di Andrea Iacomini di Unicef Italia. Ricordiamoci di questa foto. E del sorriso di Mustafa, nonostante “La difficoltà della vita”. Il suo sorriso è una speranza che non possiamo tradire.