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Sfida globale in Asia Centrale. Lukashenko a Pechino, Blinken nell’Asia ex sovietica

di Piero Orteca

Usa-Cina, sfida globale con una frenetica attività diplomatica che cerca di costruire nuove alleanze. O di rovesciare quelle esistenti. Mentre il Presidente della Bielorussia, Aleksander Lukashenko, storico partner di Putin, è da ieri a Pechino, il Segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha cominciato il suo tour in Asia centrale, nelle repubbliche ex sovietiche di Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan e Turkmenistan.

Lukashenko da Xi Jinping per il cessate il fuoco

Il presidente bielorusso Alexander Lukashenko con Xi Jinping a Pechino. «Vediamo la situazione che si sta sviluppando sulla scena internazionale. Ci congratuliamo con voi per i progressi calmi e ponderati. State seguendo la vostra strada; non intralciate nessuno e non reagite ai piccoli colpi provenienti da destra e sinistra alla Repubblica popolare cinese». Nel colloquio con il premier cinese Li Keqiang, «L’incontro di oggi avviene in un momento molto difficile, che richiede un nuovo approccio non ortodosso e decisioni politiche responsabili che dovrebbero mirare innanzitutto a prevenire uno scivolamento in un confronto globale che non vedrà vincitori».

L’agenzia statale Xinhua ha dato conto dei colloqui tra Lukashenko e il premier Li Keqiang, senza alcun accenno alla vicenda dell’Ucraina.

Biden-Blinken nell’Asia ex sovietica

Joe Biden sta invece cercando di convincere Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan e Turkmenistan a uscire dalla sfera d’influenza russa, senza però cadere ‘dalla padella nella brace’. Cioè, nelle braccia dei cinesi. Impresa che, in un periodo di acuta crisi economica planetaria come quella attuale, può essere compiuta solo sborsando montagne di dollari, come ammette dall’adviser di Blinken, Donald Lu: «Il nostro obiettivo principale e dimostrare che gli Stati Uniti sono un partner affidabile. Vediamo le difficoltà che queste economie stanno affrontando, dagli alti prezzi del cibo a quelli dei carburanti; dall’elevata disoccupazione alle difficoltà nell’esportazione dei loro beni; dalla lenta ripresa post-covid al grande afflusso di migranti in arrivo dalla Russia. Perciò stiamo lavorando con l’obiettivo di sostenere le popolazioni di questa regione».

Generosità molto interessate

Che, tradotto dal politichese, significa «se non passate con noi, almeno restate neutrali. E ci guadagnerete». Per essere chiari, il viaggio di Blinken ha un obiettivo immediato: evitare che tutti questi Paesi facciano da ‘sponda’ a Mosca, per scavalcare le sanzioni. Cosa che avviene abbondantemente tutti i giorni, anche se il Kazakistan si era impegnato formalmente a rispettarle. Ma le chiacchiere non contano e i fatti dicono altro. Il tentativo di rovesciare il Presidente kazako, Kassym Tokayev, dell’anno scorso, venne sventato grazie a Putin, che fece intervenire la forza ‘multinazionale’ della «Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva». Dietro quegli eventi qualcuno ha malignato, ipotizzando che ci potesse essere anche una manina ‘occulta’ di origine occidentale. Logico (e consequenziale) quindi, che oggi il Kazakistan predichi bene e razzoli male, restando vicino a Mosca e cercando di minimizzare i ‘danni collaterali’.

‘Disallineati’ alla sanzioni e altro

Come fanno, d’altro canto, le altre repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale, che si sono tutte astenute, in occasione dell’ultima assemblea dell’Onu, nella quale è stata approvata una risoluzione di condanna della Russia. Il quadro, però, è più complesso di quello che sembra. Il Kazakistan, per esempio, esporta l’80% del suo greggio attraverso la Caspian Pipeline, un oleodotto che ha il suo terminal in Russia, sul Mar Nero. Tutto questo, con uno speciale permesso rilasciato… da Washington, dove, evidentemente, si preferisce fare buon viso a cattivo gioco, aspettando tempi migliori. Ma nemmeno Tokayev sta a guardare, visto che già da qualche tempo ha stretto rapporti militari con i turchi e, soprattutto, con i cinesi. Ad aprile scorso, ha discusso “di collaborazione nel campo della sicurezza” col Ministro della Difesa di Pechino, Wei Fenghe. Allora, gratta gratta, sotto la vernice del viaggio di Blinken, apparentemente finalizzato a tagliare l’erba sotto i piedi alla Russia, spunta invece un’altra verità.

Alla Casa Bianca si preoccupano di Putin, certo. Ma pare che, ormai, il nemico pubblico numero uno, quello che gli fa perdere il sonno e che è stato individuato come il “competitor” finale, sia da considerare, senza alcun dubbio, la Cina di Xi Jinping.

Corsa al primato economico mondiale

Gli americani hanno cambiato strategia geopolitica ‘in corsa’, cercando di adeguarsi, velocemente, alle sfide lanciate dal colosso asiatico in maniera sfrontata. Pechino lavora per raggiungere il primato economico mondiale. Quello politico, seguirà. La straordinaria efficienza del suo sistema produttivo e l’incredibile accumulazione di liquidità, le hanno consentito di piazzare molto ‘mouse traps’, trappole per topi dappertutto. Viene definito così un modello di penetrazione, in cui concedi, ai Paesi del Terzo mondo, prestiti facili a tassi irrisori, principalmente per realizzare infrastrutture. Se tutto va bene, ti saranno grati e ti riaccoglieranno sempre a braccia aperte. Ma se esplode la crisi e i debitori non possono pagare, beh, in questo caso, per evitare il default arriva il ‘soccorso rosso’. Che non è gratis, ma va saldato, prima di tutto, politicamente. In entrambe le circostanze, la Cina si garantisce un allargamento della sua sfera d’influenza, un vecchio concetto, ma dai vantaggi sempre attuali. Ergo, il neocolonialismo di Xi è, prima di tutto, finanziario, economico e infrastrutturale. Solo poi, diventa politico.

Il faraonico programma ‘Belt and Road Initiative’, proposto dal Partito comunista cinese, non è altro che la teorizzazione sistematica di questa visione delle relazioni internazionali e della crescita. Così come il ‘Build Back Better World” ne è la risposta americana. Hanno qualcosa in comune? Si, entrambi, pur da punti di vista (e con finalità) radicalmente diversi, perseguono l’obiettivo di imporre modelli di sviluppo predeterminati, per raggiungere l’egemonia planetaria.

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