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Una donna appesa a testa in giù e picchiata: le torture di Bani Walid, il lager libico finanziato anche dall’Italia…

La donna torturata a Bani Walib

Lo riporta Avvenire: la donna è una migrante eritrea, la cui vita vale 12.500 dollari. Per i trafficanti gli africani del Corno valgono di più perché i parenti in Europa sono disposti a pagare.

È una delle tante cronache dell’orrore, quella riportata oggi da Avvenire in un articolo a firma di Paolo Lambruschi. L’ennesima descrizione minuziosa di atrocità inumane che lascia il tempo che trova, che non scalfisce minimamente il cuore di questa Italia indurita. C’è una donna eritrea appesa in testa in giù per i piedi, ci sono delle mani che la bastonano, ci sono le urla, di lei e dei suoi carnefici. É un video che Avvenire non riporta, mostrando solo dei fotogrammi, per non guastare la colazione domenicale degli italiani. È giusto, non è una critica al giornale: chiunque avrebbe fatto lo stesso. Eppure, per distruggere l’apatia che ci pervade, ci vorrebbe una terapia d’urto. Perché potremo dire di essere perduti solo quando la scena di una donna picchiata mentre è appesa per le caviglie ci lascia indifferenti. Solo allora sarà troppo tardi, e forse già lo è.

Bani Walid. È un nome che a noi occidentali non dice nulla. Ma per un africano del Corno, per un libico, questo nome evoca gli stessi fantasmi che per noi fa un Auschwitz, un Bergen-Belsen, una Guantanamo. Spettri di torture e di morte, di esseri umani ingoiati in un buio da cui non si esce più.
Bani Walid è il più grande centro di detenzione libico, al centro di un crocevia di rotte migratorie. Avvenire ne parla come di un deposito di ‘carne umana’. E di carne da qui ne viene presa tanta: gli africani del Corno, spiega Lambruschi, sono molto appetibili per i trafficanti, perché molti di loro hanno già dei parenti in Europa, disposti a pagare il riscatto. La vita di questa donna appesa vale 12.500 dollari. Un’asta degli schiavi, che avviene in un luogo dove – il colmo – i migranti sono ‘protetti’ dalle autorità libiche, pagate coi soldi dell’Italia.

Dall’altro lato di quei bastoni che picchiano quella donna non ci sono oscuri trafficanti libici senza volto né nome. Ci siamo noi. Noi che ci voltiamo dall’altra parte, noi per i quali forse non c’è più speranza. Noi che abbiamo il coraggio di dare la colpa alle vittime per le loro miserie: ‘se stavate a casa vostra non vi succedeva niente’.

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