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Yemen, la mattanza di bambini: ogni nove minuti ne muore uno sotto i 5 anni per colpa della guerra

Alla fine di quest’anno, secondo un rapporto delle Nazioni Unite, i morti toccheranno quota 377mila, di cui un numero enorme saranno bambini sotto i 5 anni, uccisi da bombe, fame e malattie

di Tommaso Carboni

Tra le guerre scaturite dalle primavere arabe la meno raccontata è stata forse quella dello Yemen. Primo perché il paese è meno strategico. Poi, inutile negarlo, perché gli sfollati non sono venuti a bussare alle porte dell’Europa. Ma per anni le Nazioni Unite hanno ricordato che proprio lo Yemen era la tragedia umanitaria più grave in corso sulla Terra.

E lo è probabilmente ancora oggi, anche se gli occhi delle comunità internazionale sono tutti puntati sull’Afghanistan. Si guarda a quel fiume di profughi che scappa dai talebani e da un’economia al collasso– in 300mila hanno raggiunto l’Iran –, e che potrebbe interessare anche l’Europa, già alle prese col nuovo fronte tra Polonia e Bielorussia.

E così lo Yemen viene trascurato. Però il bilancio della guerra, già devastante, continua ad aggravarsi.

Alla fine di quest’anno, secondo un rapporto delle Nazioni Unite, i morti toccheranno quota 377mila, di cui un numero enorme saranno bambini sotto i 5 anni, uccisi da bombe, fame e malattie.

«Nel 2021, a causa del conflitto, ogni nove minuti è morto un bambino yemenita di età inferiore ai cinque anni», si legge nel nuovo documento dell’UNDP. In Yemen, spiega l’Onu, venti milioni di persone, cioè due terzi degli abitanti, hanno bisogno di aiuti umanitari per sopravvivere. Si viene a sapere anche che almeno il 60% dei decessi non è legato a cause dirette della guerra, quindi missili, ordigni esplosivi e scontri a fuoco. I killer più spietati sono il poco cibo e le malattie.

Ma chi sono i responsabili di questo disastro? La guerra civile dello Yemen si trascina dal 2014 quando il movimento ribelle degli Houthi, sciita e armato dall’Iran, si è impadronito di gran parte del nord del paese, compresa la capitale Sanaa. Nel marzo 2015, una coalizione di paesi arabi guidata dall’Arabia Saudita è intervenuta nel conflitto, con l’obiettivo di ripristinare il governo cacciato dagli Houthi. Anni di scontri feroci non hanno risolto lo stallo. L’unico risultato è stato quello di devastare l’economia yemenita e trascinare almeno 15 milioni di persone, cioè più di metà del paese, in condizioni di povertà estrema. Due milioni di bambini sono gravemente malnutriti.

Entrambi gli schieramenti hanno il proprio carico di colpe pesanti. Da una parte, la coalizione militare guidata da Riad, le cui bombe hanno fatto migliaia di vittime, demolendo infrastrutture e contribuendo allo sfacelo generale. I sauditi poi hanno cercato di soffocare il nemico bloccando importazioni e rifornimenti verso i loro territori. Milioni di persone sono diventante ancora più povere. Anche gli Houthi però hanno la loro parte abbondante di gravi responsabilità. Bombardano civili, torturano detenuti, reclutano bambini-soldato, ostruiscono l’accesso alle agenzie umanitarie che portano aiuti.

Come in altri teatri di guerra, il conflitto è diventato uno scontro per procura tra potenze regionali, che si battono per rafforzare il loro peso geopolitico. Nel caso dello Yemen, i due contendenti principali sono l’Arabia Saudita e l’Iran. C’è stato un momento in cui l’inerzia sembrava favorire i sauditi e il governo yemenita con base ad Aden, sostenuto da Riad e riconosciuto dalla comunità internazionale. Oggi le sorti paiono diverse. L’Arabia Saudita sta lottando per difendere Marib, una città ricca di petrolio che gli Houthi hanno preso d’assedio. Qualche anno fa, Marib sembrava stabilmente in mano alla coalizione a guida saudita e al governo di Aden. Gli Houthi, lontani centinaia di chilometri, non facevano paura. La città era cresciuta fino a più di un milione di abitanti: civili sfollati da altre parte dello Yemen. Ovunque, cantieri di nuove case destinate ad accoglierli.

Oggi gli Houthi sono alle porte di Marib. Per difenderla i sauditi hanno ritirato le truppe che stazionavano a Hodeida, il principale porto yemenita sul Mar Rosso. La situazione è drammatica. Si sono aggiunti, fa sapere l’Onu, 40mila profughi in fuga da zone intorno alla città interessate dal conflitto. Anche gli houthi hanno subito perdite enormi: più di 14mila combattenti uccisi da giugno, compresi bambini. Ma sopportano i danni e vedono poche ragioni per negoziare una tregua.

Gli Houthi, del resto, pensano di stare vincendo la guerra. «La più grave emergenza umanitaria adesso è a Marib. Decine di migliaia di sfollati, tante vittime, anche donne e bambini. Per questo abbiamo lanciato in quell’area nuovi progetti di assistenza e abbiamo chiesto alle agenzie dell’Onu di investire di più: insieme abbiamo allestito rifugi, scuole e cliniche mobili dove curiamo i feriti”. A parlare è Abdullah al Rabeeah, capo del King Salman Relief Centre, l’agenzia di cooperazione allo sviluppo del governo saudita. Malgrado sia parte del conflitto, Riad afferma di contribuire allo sforzo umanitario per lo Yemen. Il King Salman Relief Centre, sostiene il suo direttore, ha avviato nel Paese 629 progetti con una spesa complessiva finora di circa 4 miliardi di dollari. “Grazie a questi aiuti, e alle agenzie dell’Onu con cui collaboriamo, la fame non si è aggravata in carestia come è successo in passato. Non facciamo distinzioni: se ci lasciano passare, portiamo assistenza anche nei territori controllati dagli Houthi», ha aggiunto Abdullah al Rabeeah.

La verità però è che lo Yemen si è trasformato in un costosissimo pantano strategico. I sauditi cercano disperatamente di porre fine a una guerra in cui hanno speso miliardi di dollari e che ha incrinato relazioni con alleati importanti, in particolare gli Usa. In più, l’Arabia Saudita viene attaccata di routine da missili lanciati oltre il confine dagli Houthi. Bersagli: aeroporti e altre infrastrutture vitali. Per superare l’impasse Riad ha cominciato a negoziare anche con l’Iran, che ha sostenuto gli Houthi con armi e denaro. Ma che forse oggi non ha abbastanza controllo su di loro per costringerli a un accordo. E in ogni caso, è probabile che sia felice di vedere un arcinemico sanguinare.

La Stampa

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