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I prigionieri di Herat: 750 militari italiani in Afghanistan tra virus e Iran

A ‘Camp Arena’, Herat, Afghanistan, bunker anti talebani e ora anti coronavirus. 750 italiani in divisa e in quarantena, senza possibilità di facili ritorni. Prigionieri in capo al mondo.

Riepilogo da ‘Camp Arena’
Bloccati nella base tutti i 750 militari italiani. Loro e i 250 colleghi americani che la condividono. Soldati e basta. Esclusi da un mese i quasi 550 civili locali, gli afghani di etnia dari, di origine persiana, che accudivano alla quotidianità e rendevano la vita accettabile. Ieri dovevi temere che qualcuno di loro potesse arrivare imbottivo di esplosivo, oggi, nemico ancora più subdolo e difficile da individuare, la bomba coronavirus che sta devastando il vicino Iran.

Camp prigione e nemico attorno
Oggi, ci dicono fonti anonime ma affidabili, che da ‘Camp Arena’, non entra e non esce nessuno, tranne i mezzi che controllano la base, la sicurezza, lungo le strade principali e senza scendere dai mezzi. Perché attorno è ‘territorio comance’, terra incognita, dove il virus è in agguato. In città la situazione ufficiale ad oggi è di soli 280 contagiati 4 deceduti e 40 guariti, ma chi ci crede è ingenuo a perduto.

L’Iran martoriato e vicino
A far paura, la vicinanza, poche decine di chilometri, dall’Iran che sappiamo martoriato del coronavirus reso micidiale dell’embargo Usa che impedisce cure e che ammazza più di una guerra. Chi può, attraverso quei confini desertici e permeabili di popoli da millenni nomadi, fugge. E ad Herat dono migliaia gli iraniani rifugiati. Ed ecco che da fonti meno accomodanti, risulta un numero di contagiati pari al 20% della popolazione. Parliamo di 600mila persone, e i numeri che ne escono sono da terrore.

Coronavirus tra i nostri?
Ufficialmente nessuno. Anche se il virus era arrivato proprio dall’Italia. Notizia ‘riservate’ che noi scopriamo attraverso il sito Rai, e un po’ viene da ridere. «A Herat primi quattro casi di contagio per militari italiani impegnati in missioni all’estero». Quattro militari, tre dell’Esercito e uno dell’Aeronautica risultati positivi al Covid-19». I militari, faceva sapere lo Stato Maggiore della Difesa, ‘erano già in quarantena preventiva’. A noi risulta che il virus lo avrebbero contratto a casa. Sintomi ad Herat, isolamento e rispediti indietro, in quarantena a Pratica di Mare, con 5 di loro poi risultati positivi al tampone.

Anche l’Afghanistan isolato
Aeroporto di Herat praticamente chiuso. Niente voli civili e pochi voli militari, limitati soprattutto ai cargo per rifornimenti. Rientri di fatto bloccati e cambio di contingente previsto a giugno con molti ‘forse’. Fosse almeno per il tanto promesso ritiro da una missione sempre meno comprensibile, ma troppe volte rinviato senza spiegazioni politico militari dovute. Non solo Afghanistan ovviamente, con problemi di sicurezza per le missioni militari italiane ovunque nel mondo. Molte, ad esempio nel Balcani, che si trascinano da decenni senza neppure memoria della ragioni d’origine. L’occasione per ripensare, razionalizzare e tagliare, che ora quei soldi servono ad altro

Due conti in tasca
Costo ufficiale (e senza annessi e connessi) della partecipazione alle missioni militari in Afghanistan a partire dal novembre 2001 (Enduring Freedom fino al 2006, ISAF fino 2014, Resolute Support dal 2015) è di 6,5 miliardi di euro (solo sino al 2018), oltre un milione di euro al giorno in media. Spese di contorno, 480 milioni a sostegno delle forze armate afgane e circa 900 milioni per trasporto truppe, mezzi e materiali da e per l’Italia, alla costruzione di basi e altre infrastrutture militari. Si arriva così a oltre 7,8 miliardi in 16 anni (dati sino al 2018), a fronte di 280 milioni investiti in iniziative di cooperazione civile.

REMOCONTRO

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