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Armi italiane all’estero e non solo all’Ucraina, i conti che non tornano

«Le strane incongruenze del nostro traffico bellico», denuncia Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio Opal e di Rete italiana pace e disarmo. Certo, fonte schierata in tempi di diffusa chiamata alle armi, ma qui non stiamo andando a litigare sulla armi da dare o non dare all’Ucraina, ma sui conti governativi dati al Parlamento che non tornano. Quindi chiarezza istituzionale da fare.

3,6 miliardi ‘venduti’ e solo 225 milioni consegnati?

Nei giorni scorsi inviata ai presidenti di Camera e Senato la Relazione annuale sulle esportazioni e importazioni di materiali d’armamento’. Due volumi di 2.423 pagine firmati dal Presidente del Consiglio che Draghi, con ogni probabilità, non ha nemmeno visto, dato che i numeri proprio non tornano, a colpo d’occhio.
«A fronte infatti di oltre 3,6 miliardi di euro di licenze all’esportazione relativi ad ‘autorizzazioni individuali’, la relazione riporta solo poco più di 225 milioni di euro di consegne effettive». Tutti a comprare e nessuno a consegnare, o all’Agenzia delle Dogane che deve certificare le esportazioni di armamenti italiani, erano tutti distratti? Certo è che la relazioni al Parlamento racconta bugie.

Altri numeri altri sospetti

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha segnalato più di 5 miliardi di euro di operazioni bancarie su singole esportazioni. Detta in parole semplici e stando ai dati forniti dalla relazione, il governo avrebbe autorizzato 3,6 miliardi di euro per esportazioni di armamenti, sarebbero stati incassati pagamenti per 5 miliardi di euro, ma le effettive consegne sarebbero state solo di 225 milioni.
Vero è che la produzione di sistemi d’arma complessi richiede vari anni e quindi un naturale lasso di tempo tra l’autorizzazione e la consegna, ma i numeri di quest’anno proprio non convincono.

Inefficienza di chi e perché?

Problemi di osservanza di legge che oltre alle Dogane toccano anche i Servizi segreti esteri cui compete il controllo sulla legittimità dalla vendite, l’ex Ottava Divisione Sismi, oggi ‘Controproliferazione’ Aise. La Relazione riporta che tra i quasi 45,9 milioni di euro di autorizzazioni di materiali militari destinati all’Arabia Saudita –bloccati teoricamente da una delibera parlamentare per la guerra nello Yemen-, figurano anche quelli della categoria «M 004» e cioè proprio «bombe, siluri, razzi, missili ed accessori».

Sauditi pronta cassa

«Con pagamenti sauditi per oltre 21 milioni di euro di cui non si rintraccia autorizzazione nemmeno negli anni scorsi e soprattutto – notate bene – che nel 2021 la stessa azienda avrebbe ricevuto licenze per oltre 95 milioni (e 24,8 milioni nel 2020, 35,6 milioni nel 2019 e 27,7 nel 2018) ma non avrebbe effettuato nessuna esportazione», l’accusa esplicita di Beretta.

Ditte che incassano ma non esportano?

«Un’azienda negli ultimi anni riporta ordinativi per oltre 180 milioni di euro, che nel 2021 incassa 51 milioni, ma che – stando ai dati dell’Agenzia delle Dogane – non avrebbe esportato niente. Non è l’unica stranezza di questa relazione».

Poi le competenze politiche

Prima la commissione Difesa del Senato anche se la competenza spetterebbe però alle Commissioni Esteri. «Considerato che tra i maggiori acquirenti di sistemi militari italiani figurano, per quasi la metà delle licenze non solo paesi alleati dell’Ue e della Nato (51,5%), ma regimi autoritari e spesso repressivi sarebbe auspicabile un esame in commissione Esteri».
Il primo acquirente è il Qatar (813,5 milioni di euro), poi il Pakistan (203,7 milioni), Filippine (98,7 milioni), Brasile (72, 9 milioni), India (60 milioni), Emirati Arabi Uniti (56 milioni) e l’immancabile Egitto (35 milioni) i cui corpi di polizia e enti governativi continuano ad essere riforniti dall’Italia «armi leggere» tra cui pistole e fucili automatici.

REMOCONTRO

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