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Guerre che bruciano la memoria

Le guerre non servono per restaurare diritti, ma per ridisegnare poteri. Parafrasando Hannah Arendt, che altro si può dire su quello che stiamo vedendo in questi giorni? A dire il vero si potrebbe così affrontare filosoficamente ogni scenario bellico che abbiamo visto recentemente accendersi, per mille motivazioni diverse, nelle varie zone nevralgiche del mondo.

di Antonio Cipriani

Non conosco alcun conflitto che non serva per ridisegnare poteri. E nello stesso tempo non conosco guerra che non faccia morti innocenti, che non massacri civili, che non distrugga case, campi coltivati, strade, ponti e non costruisca nuove cattedrali di povertà. Eppure ogni volta alle bombe viene fatta precedere la fanfara delle buone motivazioni, talvolta mentre si muore dilaniati si sente in lontananza l’eco delle dotte, tattiche, politiche spiegazioni.

Ogni efferatezza può essere comodamente giustificata dietro una scrivania imbandierata.

Avendolo sempre saputo, non mi trovo al debutto in queste settimane nella scoperta dell’acqua calda: la guerra va ripudiata, con tutto il suo clangore di fascinose macchine di morte foraggiate, lucidate, asservite alla distruzione e talvolta benedette. Per questo posso tranquillamente affermare che non esiste, oggi e nella storia recente, niente che abbia a che fare con una visione umanitaria, giusta, nazionalista, chirurgica, democratica del massacro bellico. Si uccide, si muore per interessi che non riguardano i cittadini. Perché la vita non è fatta di confini e di complesso militare-industriale, di disinformazione per farci credere cose che non hanno il minimo interesse per le nostre esistenze semplici. Non è fatta di super tecnologie sviluppate accuratamente per meglio uccidere, per meglio reprimere, per sottomettere il nemico.

Anche perché, gira che ti rigira, il nemico siamo sempre noi. Quelli che non hanno diritto di veto, che non possono alzare la voce perché le bombe sovrastano ogni cosa. Quelli che anche se vanno in piazza con le bandiere della pace – e ci sono sempre andati – non contano niente. Perché la guerra è un’invenzione da stanze dei bottoni, da leader più o meno feroci, più o meno ottusi, più o meno dittatori. Quelli che giocano a Risiko con il nostro futuro e che mostrano muscoli, metaforicamente o no, che agiscono per innescare bombe o per farle esplodere lontani dai loro palazzi dorati.

Conteremo i morti anche questa volta. Parteggeremo per questo o per quello, sosterremo le giuste cause o le cause sbagliate, indifferentemente. Perdendoci nel viavai delle opinioni e degli opinionisti. Mentre, ancora una volta, di colpo si fa notte, s’incunea crudo il freddo. La città trema, livida trema. S’alzano i roghi al cielo, s’alzano i roghi in cupe vampe che bruciano libri, mappe, memorie. Che bruciano l’aiuto degli altri. Mentre il cielo si fa nero, risuonano nella testa i versi poetici e musicali di una guerra che abbiamo già vissuta e che continuiamo a vivere. Diversa è sempre uguale.

“Di colpo si fa notte, s’incunea crudo il freddo
La città trema, livida trema
Brucia la biblioteca, i libri scritti e ricopiati a mano
Che gli Ebrei Sefarditi portano a Sarajevo in fuga dalla Spagna
S’alzano i roghi al cielo

S’alzano i roghi in cupe vampe
Brucia la biblioteca degli Slavi del sud, europei del Balcani
Bruciano i libri, possibili percorsi
Le mappe, le memorie, l’aiuto degli altri”.
[Cupe vampe, Csi]

REMOCONTRO

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