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I 100 mila desaparecidos siriani: l’Onu indaga con 12 anni di ritardo

Oltre 100 mila persone scomparse forzatamente in dodici anni di guerra. I desaparecidos siriani. Scomparsi  in grandissima parte nelle carceri del regime di Bashar al-Assad.

di Umberto De Giovannangeli

Oltre 100 mila persone scomparse forzatamente in dodici anni di guerra. I desaparecidos siriani. Scomparsi  in grandissima parte nelle carceri del regime di Bashar al-Assad.

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Ne scrive, con accuratezza documentale, Asmae Dachan in due report su Osservatorio Diritti e Vita.

“Una bozza per l’istituzione di una commissione internazionale per far luce sul destino di oltre 100 mila persone scomparse forzatamente in Siria dal 2011 a oggiè stata approvata il 30 giugno nel corso della 77esima riunione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Si tratta di bambini, donne e uomini finiti arbitrariamente in arresto e condotti nelle carceri governative, ma anche di civili fermati dalle diverse parti combattenti e dai terroristi dell’Isis. Da anni i familiari di queste persone, riuniti in diverse associazioni che operano nei luoghi della diaspora, chiedono che si faccia luce sul destino dei propri congiunti, ma fino ad ora i loro appelli erano rimasti inascoltati.

Guerra in Siria, popolazione lasciata sola per troppo tempo

“Questa è una risoluzione storica e un passo tanto atteso dalla comunità internazionale, che finalmente viene in aiuto delle famiglie di tutti coloro che sono stati fatti sparire con la forza, rapiti, torturati e tenuti in condizione di detenzione arbitraria e in isolamento negli ultimi dodici anni”, ha affermato il presidente della Commissione di inchiesta delle Nazioni Unite sulla Siria Paulo Sérgio Pinheiro. “I siriani sono stati lasciati soli nella ricerca dei loro cari per troppo tempo e questa istituzione è un imperativo umanitario e integra gli sforzi verso la responsabilità”.

Siriani scomparsi, una commissione indispensabile

Nel giugno 2022 la Commissione di inchiesta delle Nazioni Unite sulla Siria ha pubblicato un documento che chiedeva la creazione di un’istituzione con un mandato internazionale, facendo seguito alla sua proposta già presentata nella relazione del 2021 con l’obiettivo di fare luce sulle sparizioni forzate nell’ultimo decennio in Siria.

Dall’inizio delle violenze nel 2011, la Commissione ha raccolto un notevole patrimonio di informazioni, che sarà messo a disposizione della nuova istituzione. «Ciò che si aspettano le famiglie delle persone scomparse in Siria è che vengano mobilitate le migliori pratiche, metodologie, tecnologie e risorse adeguate da questa nuova istituzione», ha dichiarato Hanny Megally, membro della Commissione di inchiesta delle Nazioni Unite sulla Siria.

Il voto delle Nazioni Unite, contrari Cina e Russia

Nel corso della sessione 83 Paesi, tra cui l’Italia e gli Stati Uniti, hanno votato favorevolmente, 62 si sono astenuti 11, tra cui Cina e Russia, si sono espressi in modo contrario.

I risultati del voto sono stati accolti con grande soddisfazione dalle associazioni dei familiari dei cosiddetti desaparecidos siriani nate nei Paesi in cui si sono ritrovati i profughi in fuga dalla guerra, come Germania, Inghilterra, Stati Uniti.

Grazie al sostegno di associazioni internazionali per i diritti umani, sono riuscite a mobilitarsi nel tempo e a dare vita, dal basso, a una mobilitazione strutturata.

L’appello per indagare sulle sparizioni forzate in Siria

Il 23 giugno, proprio in vista della riunione dei Paesi membri dell’Assemblea delle Nazioni Unite, circa un centinaio tra associazioni siriane e internazionali avevano lanciato un appello chiedendo la creazione di un’istituzione indipendente per fare luce sul destino dei loro cari spariti forzatamente, definendo l’iniziativa «una pietra miliare nella risposta internazionale al conflitto in Siria».

Tra le associazioni siriane firmatarie figurano Families for Freedom, nata a Londra, e Caesar Families Association, nata a Berlino, mentre le associazioni internazionali in difesa dei diritti umani compaiono, tra le altre, Amnesty International e Human Rights Watch.

«Proprio adesso! Enorme vittoria per le vittime, i sopravvissuti e le loro famiglie della Siria», ha commentato a caldo Mansur al Omari, consulente di Reporter senza frontiere sulla Siria ed ex vittima di tortura. 

Soddisfazione è stata espressa anche da Kristyan Benedict, manager delle campagne di Amnesty International per la Siria e Israele/Palestina,  che ha definito l’iniziativa storica, esprimendo «il massimo rispetto per gli attivisti siriani per i diritti umani che hanno guidato questi lavori».

Sull’importanza dell’iniziativa va segnalato il commento della giornalista e attivista Wafa Mustafa, che ricorda, proprio in questi giorni, il decimo anniversario della scomparsa forzata nelle carceri governative siriane del padre Ali: “Sono grata di sentire della creazione dell’Istituzione indipendente per le persone scomparse in Siria da parte delle Nazioni Unite, ma è scoraggiante che ci siano voluti dodici anni per arrivarci».

Solo perché ho documentato le atrocità in Siria per il Syrian Center for Media and Freedom of Expression il regime di Assad mi ha fatto sparire con la forza e mi ha torturato ogni giorno per nove mesi, anche con scosse elettriche, percosse con manganelli e cavi elettrici, abusi verbali, privazione di cibo, medicine e sonno. Non ho mai visto la luce del sole né mi è stato concesso un minuto fuori dalla mia cella sotterranea. Oggi, il danno delle torture che ho subito sembra molto più grande di quando sono stato rilasciato”. Sono le parole con cui Mansour al Omari, vittima di tortura, Llm in Giustizia di Transizione e consulente di Reporters sans Frontières in Siriaha commentato la ricorrenza del 26 giugno, Giornata Internazionale in supporto delle vittime di tortura, istituita dalle Nazioni Unite con la soluzione 52/149 del 12 dicembre 1997.

Per il dodicesimo anno consecutivo il Syrian Network for Human Rights, Snhr, ha pubblicato un rapporto sulla situazione in Siria Secondo il documento, dal 2011, anno in cui sono iniziate le proteste antigovernative, represse poi nel sangue dando inizio alla guerra, oltre 15mila persone sono morte in Siria sotto tortura o a causa di negligenza medica all’interno delle prigioni. Tra le vittime ci sono 198 bambini e 113 donne. Il rapporto fa luce su un gran numero di episodi di tortura e resoconti di sopravvissuti alla tortura di ex prigionieri, nonché episodi di morte dovuti a tortura che sono stati documentati nell’ultimo anno, dal 26 giugno 2022. Sono nell’ultimo anno i casi registrati sono 62. Alla luce di questi fatti la legge n. 16 che criminalizza la tortura, promulgata dal regime siriano il 30 marzo del 2022, “non ha senso”, si legge nel documento.

Oggi, oltre 155mila persone sono ancora detenute e/o fatte sparire forzatamente per mano delle parti in conflitto e delle forze di controllo in Siria. Il regime siriano, secondo quanto emerge dal report del Snhr, è responsabile dell’88% di tutti i casi di sparizione forzata. Il report evidenzia che la stragrande maggioranza di questi detenuti sono prigionieri politici, detenuti nel contesto della rivolta popolare, e sottoposti a una o più forme di tortura per anni. Tra i responsabili di questi crimini ci sono poi le formazioni terroristiche dell’Isis e di Hayat Tahrir al Sham, Hts, ma anche fazioni di opposizione come il Syrian National Army, Sna le Syrian Democratic Forces, Sdf, e altre formazioni combattenti.

“Questo rapporto arriva in un momento in cui alcuni Stati arabi hanno deciso di ripristinare i rapporti con il regime siriano. Vogliamo che questo rapporto dimostri a quegli e ad altri Stati che il regime siriano sta ancora praticando i metodi più orrendi di tortura contro donne, bambini e tutte le vittime arbitrariamente detenute”, ha commentato Fadel Abdul Ghany, direttore esecutivo del Snhr”.

Tutto è iniziato nel 2011

La rivolta  – rimarca Laura Aprati in una documentata ricostruzione storico-politica su  RaiNews parte da una piccola città del Sud, Daraa. Dopo l’arresto di due giovani studenti, colpevoli di aver scritto sul muro esterno della scuola frasi contro il presidente Assad, i cittadini scendono in piazza per chiederne la liberazione. Il popolo chiede anche maggiori aperture democratiche. Per il 60% di fede sunnita, la popolazione siriana da quarant’anni è sotto il dominio del clan familiare di Assad, appartenente alla minoranza alauita, un ramo dello sciismo. Per questa dinastia esiste una sola legge: governare senza condividere il potere con nessuno.   

La guerra civile può dirsi iniziata il 15 marzo del 2011quando le forze di sicurezza di Assad sparano sulla folla. Da quel momento la rivolta si diffonde in tutte le principali città del Paese, da Aleppo a Damasco. Nei mesi successivi le proteste si ripresentano ogni settimana, così come la repressione delle forze di sicurezza. L’uso della forza per reprimere la rivolta fa estendere le proteste in tutto il Paese. Per proteggere i cittadini indifesi, alcuni ex soldati dell’esercito di Assad si uniscono nellEsercito Libero Siriano. Il regime risponde bombardando le zone controllate dai ribelli. Tra gli episodi più tragici c’è l’attacco al villaggio di Houla: 100 vittime, la metà sono bambini.

Da allora, e fino ad oggi considerando che dal giorno del sisma si contano 78 bombardamenti nelle aree di Nord Ovest dove sono rifugiati oltre 4,5 milioni di siriani fuggiti dalla repressione del regime, si sommano ogni genere di atrocità e la violazione dei diritti civili. 

Il 21 agosto 2013 più di 1400 civili muoiono per un attacco di armi chimiche a Ghouta. Nel conflitto il presidente viene spalleggiato dai suoi alleati russi (molti dei generali oggi sul campo in Ucraina sono stati sul campo in Siria) che oggi però sono impegnati internamente ed è per questo che Bashar Al-Assad sta cercando una “normalizzazione”dei rapporti internazionali. Si sente isolato e cerca di recuperare un ruolo nel Medio Oriente partendo dall’Arabia Saudita.

Soldati e milizie civili, come gli shabiya (civili spesso mercenari) saranno il braccio armato della repressione che secondo l’Onuha tolto la vita, dal 2011 a oggi, a oltre 60mila persone.

I crimini e le atrocità di Assad sono stati documentati da più testimoni come il fotografo “Caesar” (da cui il Caesar Act il documento del governo degli Stati Uniti del 2020 che pone sanzioni al regime siriano) e da altri che hanno messo a rischio la loro vita per deporre e raccontare cosa è successo, e succede, nelle carceri siriane. Alcuni di loro sono rifugiati in Europa ma la loro identitàviene giustamente preservata.

Le condizioni di vita all’interno delle prigioni del regime sono terribili come lo sono i vari dipartimenti di sicurezza a cui si era destinati dopo l’arresto come per esempio il 215 definito il dipartimento della morte”. 300/400 persone in una stanza di 40/50 mq circa. Se eri in piedi non ti potevi abbassare e viceversa. Mancava l’aria, l’acqua, l’igiene, la possibilità di utilizzare un bagno. Si muore di inedia, di soffocamento o di torture. I morti poi venivano seppelliti nelle grandi fosse comuni.

Il Bulldozer Driver”, che ha testimoniato davanti alla Commissione Esteri del Senato americano, è un informatore e testimone chiave di crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi in Siria. Ha lavorato a Damasco dal 2011 al 2013. All’inizio della rivoluzione, nel 2011, il regime lo ha obbligato a lavorare al cimitero di Najha. Grazie alla corruzione del regime, la sua famiglia riuscì a pagare un ufficiale di alto grado e così ad ottenere il suo rilascio. Ora, dall’Europa, lavora per ottenere giustizia per gli innocenti sepolti nelle fosse comuni che è stato costretto a scavare. 

La situazione oggi in Siria.

Ad oggi ampie aree del nord, lungo il confine con la Turchia, sono controllate da forze filo-turche: le operazioni militari di Ankara hanno permesso di creare una zona cuscinetto al confine ma anche di garantire al governo del Presidente Erdogan di “intervenire” nella questione curda, da sempre spina nel fianco del paese.

Lungo il confine più vicino all’Iraqc’è la zona di responsabilità dei curdi, che storicamente vi abitano ma si sono opposti ad Assad durante la gu erra. Sono supportati dagli Stati Uniti d’America, che mantengono basi in Siria, anche a protezione dei giacimenti petroliferi. 

Altre zone restano sotto il controllo di gruppi terroristi. A Idlib, Hayat Tahrir al-Sham (ex Jabhat al-Nusra) e l’ISIS. 

Le aree del sud-ovest (province di Deraa e Quneitra) sono controllate da diversi gruppi di opposizione armata riconciliatisi con il governo di Assad.

La Siria – conclude Aprati – è sotto le sanzioni statunitensi dal dicembre 1979”.

Oltre dodici anni dopo l’inizio della guerra scatenata contro il “suo” popolo dal “macellaio di Damasco”, Bashar al-Assad, non c’è pace per la martoriata gente di Siria. Tantomeno giustizia. 

Globalist

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