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Il martirio ucraino e le analogie con la ex Jugoslavia

Massimo Nava, col Corriere delle sera ritorna nella Jugoslavia di 23 anni fa quando le bombe la lanciava la Nato ed il cattivo era Milosevic. Memorie personalmente condivise, e analisi sulle analogie nascoste tra due episodi drammatici apparentemente tanto lontani tra loro. Ad esempio, il diritto internazionale a ‘geometria variabile’. La fine di Milosevic una prospettiva per Mosca?

di Massimo Nava

Corsi e ricorsi della storia
Al di là dei ruoli di aggressori e aggrediti, la dinamica all’origine del martirio di Kiev presenta analogie con il conflitto nella ex Jugoslavia, come se la Storia presentasse il conto dei ricorsi. La miccia, ancora una volta, è l’infernale conflitto fra diritti degli Stati, autonomia dei popoli, stabilità dei confini, protezione delle minoranze etniche, linguistiche, religiose, i cui destini sono stati condizionati da vicende che affondano nei secoli. Conflitto cui il diritto internazionale a geometria variabile non è in grado di offrire risposte coerenti per prevenire la guerra.

La ‘guerra umanitaria’
Le strategie dell’Europa e degli Stati Uniti nei Balcani dovevano avviare la nuova era dei diritti dei popoli, prevalenti — dopo la caduta del Muro di Berlino — sui confini degli Stati, sui blocchi di alleanze e sul dispotismo dei dittatori. Riconoscendo l’indipendenza di Croazia, Slovenia e Bosnia, e bombardando la Serbia per salvare la popolazione del Kosovo, si affermò la regola che fosse legittimo un intervento armato in un altro Paese per esportare democrazia, salvare popolazioni oppresse, processare un dittatore.

Difesa delle minoranza minacciate
Regola tornata d’attualità contro «i nuovi Hitler» successivi, Saddam Hussein e Gheddafi. L’esercito della Jugoslavia intervenne per mantenere l’unità dello Stato. Successivamente, sotto il controllo della Serbia di Milosevic, intervenne per difendere le minoranze serbe nelle altre repubbliche e conquistare territori. Non ricorda la logica di Putin?

Contraddizioni sulla pelle altrui
Sul terreno, la Jugoslavia rimase in un limbo di contraddizioni. I musulmani furono lasciati alla mercé dei serbi a Sarajevo, ma armati contro i serbi in Kosovo. Milosevic fu considerato la soluzione per la stabilità (con gli accordi di Dayton) e poi il problema da eliminare, essendo il «macellaio dei Balcani» e anche lui un «nuovo Hitler». L’unità e l’integrità dello stato, sostenute per la Bosnia, non furono riconosciute alla Serbia, costretta infine all’amputazione del Kosovo e del Montenegro (entrato successivamente nella Nato!).

Kosovo-Crimea usato da Putin
Del caso Kosovo si servì strumentalmente Putin per riprendersi la Crimea e sostenere il separatismo nel Donbass. Il massacro di Srebrenica e l’assedio di Sarajevo esprimevano la follia dei serbi che proiettavano sui musulmani una sindrome d’accerchiamento e la pretesa di difendere la civiltà bianca, cristiana e ortodossa. Milosevic, al processo al Tribunale internazionale dell’Aja per i crimini nella ex Jugoslavia, disse : «Non capisco come mai coloro che vollero costruire i loro stati nazionalisti vennero considerati democratici dalla comunità internazionale, mentre noi che volevamo preservare la Jugoslavia multietnica fummo considerati nazionalisti. È avvenuto che coloro che hanno lasciato la Jugoslavia sono stati premiati e coloro che vi sono rimasti sono stati puniti».

I principi dispari
La Serbia, peraltro, è stata bombardata tre volte nella storia recente: dai nazisti, dagli Alleati liberatori e dalla Nato.
L’arcivescovo di Zara tuonava dal pulpito: «Combattere per difendere la patria è un principio morale, è un diritto di ogni uomo difendere la propria casa. Il popolo croato chiede soltanto il rispetto della propria indipendenza».
«I serbi», disse il presidente sloveno Milan Kucan, «invece di ottenere per la loro minoranza la massima tutela giuridica possibile, il che sarebbe una soluzione sensata, cercano di conquistare territori in cui vivono le loro minoranze».

I croati continuavano ad armarsi
Le armi arrivavano in gran quantità, da Europa, Australia, America, grazie ai contributi della diaspora. Popoli che fino al giorno prima avevano vissuto insieme, nel rispetto reciproco, cominciarono ad odiarsi. E l’odio attraversò le città, i villaggi, i condomini, persino le camere da letto, divise le famiglie e i Paesi. Poi anche la gente serba si prese una razione di bombe, nella primavera del 1999.
A Belgrado, bambini e neonati venivano portati nei sottoscala delle cliniche e nei rifugi antiaerei. Quando la Nato decise di far fuori le centrali elettriche, a Belgrado si cominciò a nascere al buio.

L’opposizione serba
Una giovane serba, scriveva : «Il nostro sbaglio è di non esserci tirati fuori in tempo, in qualsiasi modo possibile da questa tana di lupi. Spero che continui a funzionare questo legame che abbiamo con il mondo e che rappresenta per noi l’unica salvezza contro un regime necrofilo. Penso ai libri di Camus, Rilke, García Márquez, Yourcenar, Kafka, Tolstoj. Essi sono solo cronisti dei nostri orrori».

Serbia crudelmente ‘redenta’
In Kosovo decine di migliaia di uomini, donne e bambini prendevano la via della Macedonia. Per sfuggire ai bombardamenti e alle milizie serbe. Pochi mesi dopo, l’epilogo. Il potere di Milosevic crollò nello scenario in cui si era retto per un tragico decennio di guerre, paura e illegalità. La Serbia in miseria, stritolata dalle sanzioni, bombardata, era libera: la rivoluzione si compì modo incruento, a conferma della decomposizione fisica del regime, come se la terra serba, intrisa di sangue, non avesse più posto per vittime e lutti. Chissà se, di analogia in analogia, succederà lo stesso a Mosca.

REMOCONTRO

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