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Immigrazione. L’invasione che non c’è: ecco i numeri che smontano gli allarmismi

Migranti escono dall’hotspot di Lampedusa per essere imbarcati per Porto Empedocle – Liverani

L’analisi sugli sbarchi, le presenze regolari, le domande d’asilo, il confronto con i paesi europei, la buona pratica dei corridoi umanitari. La realtà è diversa da una certa narrazione ansiogena

Gli sbarchi raccontati come «un’invasione finanziata» da paesi europei.

Di più: «un atto di guerra» che dunque richiede «la difesa dei confini».

I flussi migratori via mare, fenomeno almeno trentennale, diventa nella narrazione politica un fenomeno bellico da fronteggiare anche con misure speciali: dalla detenzione amministrativa (fino a un anno e mezzo), alle cauzioni da migliaia di euro, fino a misure che rischiano di intaccare i diritti dei minori sanciti da leggi nazionali e Convenzioni internazionali. Peccato però che -al netto del ritardo cronico nell’adeguamento di strutture e politiche di accoglienza – i numeri raccontano una realtà sicuramente complessa ma molto lontana dalla narrazione ansiogena e vittimista.

Può sembrare strano, ma gli sbarchi sono un aspetto minore nell’immigrazione.

Gli ingressi dal mare sono stati finora 133 mila, in forte crescita rispetto ai 70 mila dell’anno scorso.

Ma – come ha ricordato su Avvenire il professor Maurizio Ambrosini, sociologo delle migrazioni alla Statale di Milano – i richiedenti asilo e rifugiati erano 340.000 alla fine del 2022, di cui quasi la metà ucraini, e quest’anno saranno poco più di 400 mila, a fronte di una stabile popolazione immigrata di circa 5,3 milioni di residenti regolari, più 4 o 500 mila persone in condizione di irregolarità, meno di un decimo.

Una popolazione da dodici anni sostanzialmente stabile, che anzi ha registrato una contrazione per la crisi economica provocata dalla pandemia. Oggi un gran numero di aziende e imprese non vede affatto gli stranieri come una minaccia, ma come una risorsa per il fabbisogno di manodopera. Lo stesso governo che parla di emergenza ha deciso flussi per 450 mila nuovi ingressi in tre anni.

Non solo. La gran parte del milione di persone arrivate dal mare megli ultimi 10 anni da tempo è passato in altri paesi europei. Anche se, ciclicamente e in modo propagandistico e quando serve ad uso interno, si sbarrano le frontiere. Per il sociologo delle migrazioni in Italia si adotta un mix di tre diverse politiche migratorie: la generosa accoglienza verso i profughi ucraini; la cauta apertura verso i lavoratori; la chiusura verso chi arriva spontaneamente dal Sud del mondo, Paesi in guerra compresi. Le motivazioni utilizzate – lotta agli scafisti, difesa dei confini, necessità di permessi e autorizzazioni – cozzano con l’impossibilità per chi fugge ad accedere a documenti e sistemi di trasporto legali. E le espulsioni? Complesse – servono accordi di riammissione – e costose, hanno sempre prodotto numeri di poche migliaia l’anno. Perfino quando il leader della Lega Matteo Salvini era al Viminale: la promessa di 600 mila espulsioni, tutti gli stranieri in posizione irregolari, in un anno si sgretolò alla prova dei fatti, col Viminale che riuscì ad allontanarne poco più di 6 mila, pari all’1% degli annunci. Meno di quelli allontanati sia dal governo Renzi che da quello Gentiloni.

Nemmeno «l’invasione di richiedenti asilo» corrisponde alla realtà. Molti Paesi europei, ricorda Ambrosini, ospitano assai più rifugiati dell’Italia, compresi quelli che transitano attraverso il nostro territorio.

Nel 2022, l’Italia ha ricevuto 77 mila domande di asilo su 965 mila in tutta l’Ue, circa l’8%, quando la Germania ne ha esaminate più di 200 mila, la Francia e la Spagna oltre 100 mila.

La misura più efficace per ridurre i flussi irregolari e combattere i trafficanti (gli scafisti spesso sono migranti che accettano di guidare la barca in cambio di uno sconto sulla traversata) secondo molti addetti ai lavori è quella di offrire vie alternative a quelle illegali e letali.

La Conferenza episcopale italiana e la Comunità di Sant’Egidio, assieme alle Chiese evangeliche, si sono fatte carico completamente dei corridoi umanitari, che dal 2016 a oggi hanno portato in sicurezza in Italia 4 mila profughi particolarmente vulnerabili, a meno di mille in Francia e Belgio. A tutti è stato assicurato un percorso di accoglienza personalizzato e il sostegno fino all’autonomia. Numeri piccoli, rispetto al totale, ma che dimostrano che se questo è possibile per realtà del privato sociale, gli stati dovrebbero investire su integrazione diffusa che dimostra di essere efficace. Non solo.

Il professor Ambrosini ricorda che se abbiamo ingressi di giovani atti al lavoro e allo stesso tempo fabbisogni di manodopera, una soluzione logica sarebbe quella di farli incontrare, previe verifiche di idoneità e opportuni percorsi formativi. Come già fanno alcuni Paesi europei, anche nei confronti dei richiedenti asilo “diniegati”, cioè che hanno visto respingere la domanda di protezione umanitaria. Anche investendo da domani in modo massiccio sui Paesi in via di sviluppo (il tanto decantato piano Mattei, fanno notare le organizzazioni del mondo della cooperazione allo sviluppo, c’è già e sono gli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile fissati dalle Nazioni) i flussi migratori non si ridurranno prima di diversi anni. Servono percorsi d’ingresso legali per lavoro, reinsediamenti, sponsorizzazioni private.

Avvenire

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