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NYT: mesi di massacri e sui campi di battaglia non è cambiato niente

di Piero Orteca

Stoltenberg si inventa vittorie: «Kiev avanza». Nyt: «tutto come prima». Il segretario della Nato smentito dai fatti: mai lo stallo è stato peggiore. I dati elaborati dall’Institute for the Study of War, dicono che «la linea del fronte, dopo mesi di combattimenti estenuanti e pesanti perdite, è rimasta praticamente invariata». Mentre in consenso politico interno Usa al sostegno militare mette a rischio la presidenza.

Le eterne bugie di guerra
Oltre la triste figura del segretario Nato. L’analisi del New York Times è una frustata. Alle coscienze. L’inchiesta che pubblica on line, in prima pagina, d’apertura, corredata da un ricco contorno di grafici e cartine, parla da sola: finora, in tutto il 2023, durante nove mesi di dolore, distruzione e soprattutto massacri, sui campi di battaglia ucraini non è cambiato niente. Quello del prestigioso giornale americano è un giudizio che pesa come una sentenza. «Chi ha guadagnato terreno in Ucraina quest’anno?». Ci si chiede nel titolo del report. E la risposta è crudele: «Nessuno». Col sommario che chiarisce, qualora ci fossero ancora dubbi, «sebbene entrambe le parti abbiano lanciato offensive ambiziose, la linea del fronte si è spostata appena. Dopo 18 mesi di guerra, una svolta sembra più difficile che mai». E, per non essere fraintesi, ben consapevoli delle inevitabili polemiche, che accompagnano qualsiasi tentativo di vederci chiaro nell’ultima delle guerre medievali, i giornalisti Usa hanno voluto spaccare il capello in quattro.

Il loro report, infatti, si basa sui dati incontrovertibili e verificabili, pubblicati dall’Institute for the Study of War e dall’American Enterprise Institute.

Migliaia di morti per pochi centimetri su una mappa
Sostanzialmente, a fronte di centinaia di migliaia, di morti, dispersi, invalidi e feriti gravi, «l’Ucraina ha ottenuto piccoli guadagni territoriali nel sud, mentre la Russia ha preso qualcosina a notd-est». Briciole, fanno capire al NYT, ancora più evidenti se si comparano con i mesi interessati. Agosto, per esempio, che avrebbe dovuto essere il mese clou della controffensiva di Kiev, si è invece rivelato come il periodo della guerra «in cui sono passati di mano meno territori». Cioè, si è rimasti praticamente fermi. E tutto questo viene spiegato, efficacemente, dalla interpretazione che fanno al New York Times dei dati sui movimenti delle unità sul campo di battaglia. «Nonostante nove mesi di sanguinosi combattimenti – recita l’articolo – dall’inizio dell’anno meno di 500 miglia quadrate di territorio sono passati di mano. Uno stallo prolungato potrebbe indebolire il sostegno occidentale all’Ucraina».

Inutili battaglie, e dopo? Altre armi o cosa?
Di questo, dunque, si tratta. Anche se hai ragione, quando scegli una strategia che mette sottosopra il mondo e non ti dà risultati, allora qualcosa non torna. Stiamo parlando, per quelli che non l’avessero capito (o che fanno finta di non capirlo), del fatto che gli ultimi 270 giorni di mattatoio a cielo aperto sono serviti solo a riconquistare (o a riperdere) qualche decina di chilometri di pietraie. Al costo di perdite inenarrabili, da quelle umane alle risorse quotidianamente bruciate. E sottratte alla ricchezza del pianeta. Da un punto di vista strategico, il discorso che fanno gli analisti del NYT è molto semplice. La Russia puntava ad allargarsi nel settore centrale del Donbass, fino al Dnipro. Inglobando militarmente tutta l’area. Gli ucraini, invece, con la controffensiva volevano dividere il fronte in due, separando la Crimea dalle regioni russofone dell’est. Bene, dicono i giornalisti americani: fatevene una ragione, perché i piani sono entrambi falliti. E da questa situazione bisogna ripartire, per inventarsi qualcosa.

Guerra di logoramento, conti al dettaglio
Facendo poi i conti al dettaglio, per mostrare i risultati conseguiti da tanto sangue versato, basta solo considerare, dicono al NYT, che dall’inizio dell’anno la Russia ha guadagnato 200 miglia quadrate (un fazzoletto di circa 18×18 chilometri, n.d.r.) e l’Ucraina ancora meno. Per Kiev si parla di un’area di 142 miglia quadrate recuperate. Cioè, zero. I dati sono confermati da uno studio estensivo condotto, il 19 settembre scorso, dal Belfer Center della Kennedy Harvard School. Anche quel rapporto, molto rigoroso, sottolinea la realtà di una ‘guerra di logoramento’, dove più che puntare a vincere sul campo (cosa che appare impossibile) si mira alla distruzione del ‘fronte interno’ dell’avversario. Cioè, alla popolazione civile. Non solo, ma si gioca anche sui ‘danni collaterali’ inflitti ai fiancheggiatori. Insomma, a favore di chi lavora in tempo?

Si, perché la sensazione che sta maturando è che le opinioni pubbliche delle democrazie occidentali possano ‘stancarsi’ prima di quella russa. E il motivo è ovvio. Nelle società libere, in cui i governi sono scelti dagli elettori, non ci si può permettere (se non in casi eccezionali) guerre, anche per procura, che durino a lungo.

Russia-America, chi cede per prima?
Un esempio che calza a pennello è quello delle prossime elezioni per la Casa Bianca, nel 2024. In Europa gli echi arrivano attutiti, ma in America la campagna elettorale già imperversa. Ed è arroventata, con la guerra in Ucraina che entra di prepotenza negli scontri mediatici tra i contendenti. L’altro ieri, in California, si è svolto un dibattito televisivo tra i candidati Repubblicani alle Primarie. Lo citiamo, perché si inserisce perfettamente nel discorso che facevano prima, comparando ‘guerra di logoramento’ e progressivo (possibile) affievolimento dal sostegno popolare. Ebbene, l’incontro è stato disertato da Trump che, a questo punto, se non dovesse cadere l’asteroide (e se non si scatenerà uno tsunami giudiziario) sarà al 99% lo sfidante repubblicano.

Sostegno alla guerra in Ucraina a scadenza
Bene, Washington Post, Wall Street Journal e New York Times hanno pubblicato resoconti dettagliati sul confronto, citando le prese di posizione più decise contro ulteriori finanziamenti all’Ucraina. In particolare, DeSantis e Ramaswamy hanno detto ‘no’. Lasciando perdere l’ambiguità di qualche altro candidato, ai due nomi fatti dobbiamo aggiungere senz’altro quello di Trump. Secondo la media nazionale dei sondaggi RealClearPolitics di ieri, questi tre oppositori della politica Usa del «finanziamento facile al conflitto in Ucraina», rappresentano complessivamente circa il 77% degli elettori repubblicani.

Ma il fronte si muove anche fra i Democratici e gli indipendenti. Insomma, il quadro è chiaro. E se Biden non vorrà perdere la Casa Bianca, allora dovrà capire che esiste un paradosso, fin dai tempi del sommo LaoTzu: le guerre non si vincono solo ammazzandosi.

REMOCONTRO

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