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In Africa oltre 40 milioni di sfollati e rifugiati a causa di conflitti

Campo per sfollati interni di Zam Zam, in Sud Sudan. Credit: ONU/Olivier Chassot

Con l’aumentare dei conflitti o di vere e proprie guerre aumenta, in Africa, il numero di sfollati, rifugiati e richiedenti asilo.

Oggi sono 40,4 milioni. Più del doppio rispetto al 2016.

Lo scorso anno, considerato anno record in tutto il mondo, se ne contavano 31,7 milioni. E solo nell’Africa subsahariana.

Ad analizzare i dati forniti dall’UNHCR, dall’OIM e dall’IDMC è l’Africa Center for Strategic Studies.

La tendenza all’aumento degli sfollati si registra ormai da un decennio, ma nell’ultimo anno la crescita è stata pari al 13%.

Come ormai noto, la maggior parte degli sfollati rimane nel proprio paese, vale a dire, in questo caso, oltre il 77% degli oltre 40 milioni che hanno dovuto abbandonare le loro case.

Si stima, inoltre, che il 96% dei rifugiati che lasciano il proprio paese d’origine rimangono in Africa.

E c’è anche un altro dato messo in rilievo – e che potrebbe risultare una sorpresa -: la maggior parte di coloro che lasciano il continente lo fa attraverso canali legali (come ad esempio visti di reinsediamento o di istruzione).

L’evento per così dire scatenante della maggior parte delle “fughe” è, dicevamo, un conflitto.

Risulta, infatti, che dei 15 paesi africani che generano il maggior numero di sfollati forzati, 14 hanno in corso ostilità. Alcuni, di grande intensità.

Altro fattore “comune” è il tipo di potere (e di repressione) esercitato in questi paesi. In 12 di questi 15 paesi si tratta di un governo autoritario.

Molto spesso i conflitti sono estesi su aree contigue e paesi con confini condivisi, come il Corno d’Africa, il Sahel o la regione dei Grandi Laghi.

Insomma, difficile che un conflitto interno non finisca per coinvolgere attori su base regionale, incidendo dunque sulla stabilità di una popolazione ben più ampia di quella dove il confitto è nato.

Ed è chiaro, sulla base di quanto già sperimentato, che il golpe in Niger potrebbe avere conseguenze imprevedibili (o forse già note, considerate le altre esperienze) in altre aree.

Il grafico di UNHCR, OIM e IDMC, estratto dallo studio dell’Africa Center, mostra la crescita del fenomeno dal 2009 ad oggi

Principali zone di crisi

Dei 15 paesi in questione, cinque sono responsabili del 64% degli sfollamenti forzati nel continente.

Primo fra tutti il Sudan (che oggi conta 7.303.959 sfollati forzati), dove il deteriorarsi del “confronto” tra le forze armate sudanesi e le Forze di supporto rapido (RSF) ha causato la fuga dalle proprie case di circa 4,5 milioni di persone, con un incremento dell’85% rispetto allo scorso anno.

Una situazione che va ad aggiungersi alla crisi del Darfur che porta con sé il continuo spettro del genocidio su base etnica.

Altro paese critico dal punto di vista degli sfollati è la Repubblica democratica del Congo che ne ha registrato il 13% in più e oggi conta 7,1 milioni di sfollati forzati.

Risultato di anni di violenze legate alle azioni delle milizie non statali, incluso il gruppo ribelle M23, ma anche alla violenza di Stato perpetrata dall’esercito regolare ai danni delle popolazioni civili.

In Somalia, un paese da 18 milioni di abitanti, gli sfollati sono 5,1 milioni (+39%). E si tratta, per quasi il 90% di sfollati interni.

Il costante stato di insicurezza è dovuto ai continui scontri tra le forze militari statali e i miliziani di al-Shabaab.

In Nigeria l’aumento degli sfollati è stato quest’anno pari al 12%, raggiungendo quasi i 4 milioni.

Alla base della crisi securitaria le attività dei gruppi islamisti e del crimine organizzato.

Infine, il Burkina Faso i cui sfollati sono aumentati dell’11% e oggi raggiungono oltre 2,1 milioni.

Anche in questo caso a generare il panico è la presenza sempre più violenta di gruppi jihadisti armati.

In controtendenza, invece, è l’Etiopia dove si è evidenziato un calo del 26% di sfollati.

Il conflitto nel Tigray aveva provocato lo sfollamento di circa 1,8 milioni di persone. E così il paese nel 2022 deteneva il record di 3,9 milioni di sfollati.

La firma di un cessate il fuoco ha fatto in modo che 1,2 milioni di persone tornassero nelle proprie case.

Va detto, però, che la continua insicurezza e l’accesso limitato in gran parte del Tigray, rende difficile stabilire con precisione le cifre.

Emergenza umanitaria

Ovviamente, tali situazioni portano con sé una serie di crisi interne sul fonte umanitario.

In Sudan, oltre 6 milioni di persone – avverte l’ONU – sono sull’orlo della carestia.

Il conflitto in corso, inoltre, ha spinto rifugiati sudsudanesi che pensavano di aver trovato la salvezza nello Stato confinante, a ritornare nel proprio instabile paese.

Il Sud Sudan è oggi il paese africano con la più alta percentuale di popolazione totale sfollata con la forza (42%), pari a oltre 4.5 milioni.

A questo proposito The New Humanitarian ha lanciato un grido d’allarme sulle condizioni in cui versa la popolazione.

Difficile anche la situazione nella Rd Congo dove tre sfollati interni su quattro vivono presso famiglie ospitanti, molte delle quali già si arrangiavano prima di accogliere gli altri.

L’insicurezza alimentare colpisce milioni di persone e circa 2,8 milioni di bambini sono gravemente malnutriti.

E non va meglio in tutti gli altri paesi dove la gente, abbandonando le case, ha perso anche i mezzi e la capacità di sostentamento.

Motivo per cui si finisce per fare affidamento, spesso esclusivamente, sulle agenzie umanitarie. Che però sono sempre più in difficoltà.

Aggiungiamo, infine, che nell’ultimo anno il numero di sfollati a causa di disastri naturali è quasi triplicato, arrivando a 7 milioni.

Anche questo un dato in continuo aumento.

E mentre in passato quando la crisi rientrava si tendeva a tornare a casa, oggi chi lascia le proprie abitazioni, specie nelle aree rurali, tende a restarne lontano e a reinsediarsi nelle città, non sempre in grado di assicurare benessere, lavoro e condizioni di vita dignitose.

NIGRIZIA

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