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La lontana guerra in Sudan e i demoni del Darfur sull’Europa

(ph:REUTERS/Zohra Bensemra)

di Piero Orteca

Khartoum, la Stalingrado africana: morti nelle strade e milioni di sudanesi in fuga.

Gli scontri tra le forze armate sudanesi, guidate dal generale Abdelrahman al Burhan, presidente del Consiglio di transizione del Sudan, e le forze paramilitari di supporto rapido (RSF), agli ordini del generale Hamdan Dagalo.
Il conflitto ha ridotto la capitale Khartoum a un campo di battaglia urbano. Ma lo scontro rischia di propagarsi in una regione attraversata da tensioni etniche e tribali per il controllo delle terre e delle sorgenti d’acqua.
Le Nazioni Unite hanno messo in guardia dal rischio di un disastro umanitario colossale, un genocidio, in un paese ‘cerniera’ tra l’Africa Subsahariana e il nord del continente.

Una bomba ad orologeria

La fascia del Sahel africano è una bomba a orologeria, capace di fare esplodere in maniera drammatica l’emergenza migratoria. Questa volta l’Onu ha puntato i suoi riflettori sul Sudan, terra devastata da mille guerre (tribali, culturali, etniche, economiche) e messa in ginocchio dall’indifferenza degli “altri”, soprattutto dei più ricchi.

Rapporto Onu, cifre da brivido

Dunque, il report delle Nazioni Unite sul martoriato paese africano snocciola cifre che fanno rabbrividire. Oltre 4 milioni di persone costrette ad abbandonare le loro case. Quasi 1 milione ha varcato il confine, cercando un precario rifugio negli Stati vicini, in particolare il Ciad e l’Egitto. Almeno 3 milioni e 200 mila, invece, sono classificate come ‘internally displaced’, cioè profughi senza fissa dimora, che vagano quotidianamente, alla costante ricerca di un tozzo di pane o di una tettoia sotto cui rifugiarsi. Secondo l’Onu, prima che la guerra civile s’intensificasse, la situazione era migliore, in quanto i cittadini stimati a rischio carestia erano ‘solo’ 6 milioni. Ma da maggio la situazione è andata progressivamente peggiorando.

20 milioni sull’orlo della fame

Ora, le autorità internazionali stimano che la popolazione sull’orlo della fame tocchi i 20 milioni di abitanti. Alla mancanza di derrate alimentari immediato consumo, si aggiunge poi l’assoluto deficit di servizi. Specie quelli sanitari, indispensabili per una popolazione così malnutrita e fragile. Sempre l’Onu, calcola che i bambini sudanesi, costretti a passare le loro giornate sotto la linea minima della curva di sopravvivenza, siano almeno 14 milioni. Molti di loro moriranno per assoluta mancanza di assistenza. Infatti, immane è il compito che aspetta le organizzazioni umanitarie operanti in tutta la regione, a cominciare dalle agenzie dell’Onu.

Strage e crimini di guerra

Volker Turk, l’Alto commissario per i Diritti umani ha affermato che la guerra «disastrosa e insensata nata da una sfrenata corsa al potere, sta provocando migliaia di morti, la distruzione di case, scuole, ospedali e altri servizi essenziali, sfollamenti massicci, violenze sessuali, atti che possono costituire crimini di guerra». Turk calcola che nei combattimenti siano state uccise più di 4 mila persone, tra cui, avverte, molti civili. Alle origini della carneficina c’è la selvaggia lotta di potere tra il generale Abdel Fattah al-Burhan (che è il Presidente, de facto) e un altro alto ufficiale: il comandante della Forza paramilitare di supporto rapido, generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti. Gli scontri, cominciati nella capitale Khartoum, si sono estesi progressivamente al resto del Paese, colpendo in particolare la regione del Darfur.

La semina dell’odio

Con un tempismo crudele la guerra civile ha devastato i territori proprio nel momento della semina. Con i campi di cereali trasformati in campi di battaglia, i contadini si sono dovuti fermare. E il conto, sanguinoso, di questo blocco, presto sarà portato all’incasso, perché i raccolti diminuiranno in maniera drammatica. Proprio nel momento in cui non si può importare altro grano, dato che i prezzi si stanno impennando per la guerra in Ucraina. Insomma, ci sono tutte le condizioni perché la migrazione dal Sudan, finora massiccia ma quasi avvenuta in silenzio, diventi un fragoroso esodo biblico, di cui si dovranno accorgere tutti. In primis, l’Europa.

Intanto, i due contendenti continuano a combattersi con asprezza, accusandosi reciprocamente dell’uccisione deliberata di civili e dell’uso della violenza sessuale, come arma di terrore. Secondo Amnesty International, sarebbero entrambe le fazioni a macchiarsi di crimini di guerra.

Bambini di serie B?

Secondo Save the children, in Sudan, finora, dall’inizio degli scontri, sono morti almeno 2435 bambini. E migliaia di corpi in decomposizione «giacciono per le strade di Khartum, trasformata in un campo di battaglia urbano». Manco se fosse diventata una Stalingrado africana. Ma siccome le disgrazie non arrivano mai da sole, allora bisogna dire che i contraccolpi più forti, di questo golpe sudanese, si avranno a nord, nella turbolenta area del Darfur. Trecentomila morti bastano, per ricordare la guerra civile di vent’anni fa da quelle parti? Sottovalutare il peso geopolitico del Sudan potrebbe voler dire, per l’Occidente, ritrovarsi domani con guai ancora più grossi.

Darfur prossimo Stato Islamico

Janjaweed, la temibile e sanguinaria milizia, cammellata o a cavallo, che domina l’area, ha già cominciato i suoi attacchi terroristici. Pare che sia manovrata dal generale Hameti, che è un ‘darfuriano’. Se gli occidentali lo cacciano da Khartum, avrebbe già detto che farà del Darfur una specie di nuovo Stato islamico. Magari non è così.

Il problema è che finora, a Washington come a Bruxelles, un po’ tutti, per la verità, si sono girati dall’altro lato. Anche coloro che non la finiscono mai di parlarsi addosso, richiamandosi ai ‘nobili ideali’, che fanno tanta audience. E fanno vincere le elezioni.

REMOCONTRO

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