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La Siria e quel terrorismo di Stato a stelle e strisce targato Usa

Una cellula segreta delle forze speciali statunitensi, nel corso della lotta all’Isis in Siria, ha lanciato tra il 2014 e il 2019 decine di migliaia di bombe e missili eludendo illegalmente le procedure standard e facendo strage anche di civili.

di Umberto De Giovannangeli

Spietate “macchine da guerra”. Uccidono e scompaiono. Hanno partecipato alla mattanza siriana. Stavolta non stiamo parlando dei naziislamisti dell’Isis ne dei tagliagole stupratori qaedisti, né degli squadroni della morte al servizio di Bashar al-Assad, il “macellaio di Damasco”. Stavolta parliamo dei reparti di èlite americani.

Macchine da guerra

Una cellula segreta delle forze speciali statunitensi, nel corso della lotta all’Isis in Siria, ha lanciato tra il 2014 e il 2019 decine di migliaia di bombe e missili eludendo illegalmente le procedure standard e facendo strage anche di civili. Lo riporta il New York Times citando fonti militari e dei servizi di intelligence. Chiamata Talon Anvil, la cellula era composta da non più di 20 elementi e prendeva ordini non dai vertici del Pentagono ma da figure di più basso profilo all’interno della Delta Force.

Il quotidiano statunitense scoperchia così un vaso di Pandora, parlando di azioni illegali e procedure di sicurezza eluse, con tanto di strage di civili in Siria. Feroci martellamenti in barba al più elementare rispetto della vita umana, finendo per ammazzare persone che non avevano alcun ruolo nel conflitto: contadini, bambini, famiglie in fuga dai combattimenti e abitanti di piccoli villaggi che si nascondevano in rifugi improvvisati per sfuggire alle bombe. L’unità Usa top secret, composta da pochi militari (non più di 20 elementi, secondo il Nyt), non prendeva ordini direttamente dal Pentagono ma da figure meno rilevanti della Delta Force. Sta di fatto che avrebbe dovuto colpire, ufficialmente, soltanto i jihadisti dell’Isis. Invece bombardava a tappeto, mietendo anche vittime innocenti, come confermato al New York Times da quattro ufficiali americani.

“Erano spietatamente efficienti e bravi nel loro lavoro“, ha dichiarato al Nyt un ex ufficiale dell’intelligence dell’Air Force che ha lavorato in centinaia di missioni – classificate Talon Anvil – dal 2016 al 2018. “Ma hanno anche fatto molti brutti colpi”. Stando a quanto riferito da Larry Lewis, ex consigliere del Pentagono, ogni anno in cui operava questa unità segretail tasso di vittime civili in Siria aumentava in modo significativo. Lewis, che è pure uno degli autori di un rapporto del Dipartimento della Difesa su danni e crimini contro i civili, sostiene che il tasso era 10 volte superiore a quello di operazioni simili monitorate in Afghanistan. “Era molto più alto di quanto mi sarei aspettato da un’unità statunitense”, ha dichiarato l’ex consigliere del Pentagono. “Il fatto che sia aumentato drammaticamente e costantemente per un periodo di anni, mi ha scioccato”.

Una mattanza senza fine

In dieci anni di conflitto sono oltre 350 mila le persone uccise nel conflitto in Siria: è l’ultimo calcolo dell’Onu. Ma il dato, che copre il periodo tra il marzo 2011 ed il marzo 2021, è “sicuramente una sottostima” del numero effettivo di persone uccise ed include solo i decessi di persone identificabili con un nome, la data e il luogo del decesso. ll dato di 350.209 uccisi “è basato su un lavoro rigoroso. Ma non è e non dovrebbe essere visto come un numero completo delle uccisioni nel conflitto in Siria durante questo periodo. Indica solo un numero minimo verificabile”, ha spiegato a Ginevra l’Alto commissario Onu per i diritti umani Michelle Bachelet .I dati relativi a persone uccise, ma con informazioni solo parziali e quindi esclusi dall’elenco, “indicano l’esistenza di un numero più ampio. Tragicamente, ci sono anche molte altre vittime che non hanno lasciato testimoni o documenti sulla loro morte e le cui storie non siamo ancora stati in grado di scoprire”, ha sottolineato Bachelet.

Tra le 350.209 persone uccise più di una persona su 13 era una donna, per un totale di 26.727. Inoltre, quasi una su 13 era un bambino pari per un numero complessivo di 27.126 bambini uccisi, riferisce la ricerca dell’Onu.

Il maggior numero di uccisioni documentate è stato registrato nel Governatorato di Aleppo, (51.731), ha precisato l’Alto commissario nel suo aggiornamento orale sulle morti legate al conflitto in Siria (2011 al 2021) presentato al Consiglio Onu dei diritti umani. Per l’Onu, la documentazione dei decessi fa parte degli sforzi per stabilire le responsabilità. E’ inoltre complementare a quella per rendere conto delle persone scomparse: “dato il vasto numero di persone scomparse in Siria, ribadisco il mio appello per la creazione di un meccanismo indipendente, con un forte mandato internazionale, per chiarire il luogo in cui si trovano le persone scomparse; identificare resti umani; e fornire supporto alle famiglie”, ha concluso Bachelet.

Tragedia silenziata

Di grande interesse, per la sua puntigliosità analitica e documentarista, è il report scritto da Asmae Dachan per Vita

“«Le organizzazioni umanitarie e i donatori devono mantenere la Siria in cima alla nostra agenda condivisa, per evitare che un’intera generazione vada perduta»: sono le parole che Martin Griffiths, nella sua prima missione in qualità di coordinatore per le emergenze delle Nazioni Unite, ha pronunciato al termine del suo viaggio in Siria, Libano e Turchia. La sua visita ha coinciso con la prima operazione umanitaria transfrontaliera nel nord-ovest della Siria dal 2017, che ha accolto come un passo importante per raggiungere più persone che necessitano un’assistenza ormai indispensabile. Finora, l’Onu e i suoi partner hanno ricevuto solo il 27% dei finanziamenti necessari per il piano di risposta umanitaria del 2021 per la Siria, che prevede 4,2 miliardi di dollari.

Crisi umanitaria

Secondo gli ultimi dati dell’Onu, l’80% della popolazione siriana ormai vive sotto la soglia della povertà. Grave anche la situazione sanitaria, con metà degli ospedali del Paese distrutti o resi inagibili dai bombardamenti. Mancano farmaci e strumentazione medica, mentre la pandemia continua a diffondersi. I dati sul Covid-19 arrivano a macchia di leopardo, non essendoci un’unica cabina di regia per affrontare l’emergenza e nemmeno per il programma di distribuzione dei vaccini Covax. Secondo gli ultimi dati della Johns Hopkins Univeristy and medicine, solo lo 0,93% della popolazione avrebbe completato il ciclo di vaccinazione e nelle aree sotto il controllo governativo si registrano oltre 28mila casi. Nella regione di Idlib, dove la maggior parte dei casi sono della variante delta, sono stati registrati 1417 nuovi casi negli ultimi giorni.

Tra i malati ci sono anche bambini e ragazzi e le infrastrutture ospedaliere, in quest’area devastata dalle violenze, non reggono il peso di una crisi simile. «Il Salqin Hospital, che è finanziato dalla Syrian American Medical Society, sta lottando per tenere il passo con l’aumento dei pazienti Covid-19 che riempiono la sua unità di terapia intensiva da trenta posti letto», ha dichiarato il direttore dell’ospedale Issa Qassem. «Spesso, dobbiamo smettere di accogliere pazienti fino a quando qualcuno non viene dimesso. La maggior parte degli ospedali intorno a noi funziona a pieno regime. Altri centri o ospedali per la cura del Covid-19 devono essere preparati al più presto». Mancano bombole di ossigeno, farmaci, apparecchiature e con circa quattro milioni di persone, tra residenti e sfollati nell’area, praticare il distanziamento risulta impossibile. «Il tasso di incidenza di Covid-19 nel nord-ovest della Siria è in aumento dall’inizio di agosto, a seguito di un aumento dei movimenti transfrontalieri dopo le festività del Eid alla fine di luglio», ha reso noto l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), aggiungendo che i nuovi casi giornalieri hanno superato i le mille unità nell’area dall’ultima settimana di agosto».

Ancora scontri e bombardamenti

Non c’è solo la crisi umanitaria a far soffrire i Siriani; dopo dieci anni di incessante conflitto, continuano i bombardamenti, gli arresti arbitrari, le torture nelle carceri e l’assedio di intere aree, che provocano gravissime conseguenze per i civili più fragili. Le maggiori aree di crisi sono a Daraa al Balad, dove in un mese sono stati registrati 38mila nuovi sfollati, e dove l’assedio si prolunga da ben tre mesi, a Idlib e la sua provincia, dove oltre tre milioni di sfollati vivono in condizioni di profonda precarietà, schiacciati da un lato dai bombardamenti russo-governativi, dall’altro dalle violenze e dagli attentati dei gruppi qaedisti (Hayat Tahrir al Sham, Hts e Jabhat an-Nusra) e dalla presenza di ciò che resta dell’Esercito Siriano Libero, sostenuto dalla Turchia.

Un’altra zona critica è quella del campo di Al-Hol, dove da anni vivono prigioniere le famiglie di terroristi del Daesh, circa 60mila persone, metà delle quali sono bambini, esposti a ogni genere di violenze e abusi e dove, dall’inizio dell’anno, sono stati uccisi circa settanta civili. Molte delle donne sono cittadine europee che hanno lasciato i propri Paesi per unirsi al Daesh e che, per questo, quasi nessuno è disposto ad accogliere nuovamente in Patria. È notizia di questi giorni, però, che la Svezia ha accettato di far rimpatriare tre donne che si erano unite all’autoproclamato califfato, insieme ai loro figli, ed erano state imprigionate dalle autorità arabo-curde nel campo di Roj. Una delle donne era ancora minorenne quando la madre l’ha portata in Siria con sé, mentre su un’altra c’è il sospetto che abbia tentato di reclutare donne svedesi per indurle a unirsi allo Stato Islamico.

Un nuovo Afghanistan?

Un ulteriore fronte caldo resta quello del nord-est, nell’area sotto il controllo delle milizie curde sostenute dalle forze internazionali guidate dagli Stati Uniti. Le unità curde che controllano l’area, osteggiate dall’esercito turco, aspettano ora che il presidente americano Biden mantenga le promesse in merito al progetto di autonomia curda e non li abbandoni al proprio destino. Si teme, di fatto, uno scenario simile a quello afghano. A oggi l’impegno americano in Siria è stato relativamente circoscritto, mentre la Russia la fa da padrona ormai da anni, controllando anche il porto di Tartus. Sono in molti a pensare che le truppe americane lasceranno al proprio destino gli alleati curdi, e la mancanza di una strategia proattiva non solo avrà un impatto sulla capacità di promuovere gli interessi occidentali in Siria e nella regione, ma garantirà anche ai rivali, Russia, Cina e Iran la capacità di utilizzare il Paese come piattaforma per perseguire i propri programmi nella regione.

Una generazione che conosce solo la guerra

Secondo le stime dell’Onu il conflitto in Siria ha provocato oltre 500mila vittime in dieci anni, 6,5 milioni di profughi e altrettanti sfollati interni. Ci sono poi statistiche difficili da riportare, ma altrettanto drammatiche, come il numero delle bambine costrette a matrimoni precoci e dei bambini costretti all’arruolamento. L’Unicef denuncia che sono sempre i bambini a pagare le conseguenze più pesanti delle violenze, rimanendo uccisi, feriti, venendo privati del diritto allo studio, alle cure mediche, al gioco. A questa generazione manca ogni tipo di sostegno, affettivo, economico, culturale e psicologico. «La continua escalation di violenza in Siria, soprattutto nel nord, ha ucciso e ferito almeno 45 bambini dall’inizio di luglio» si legge in un comunicato diffuso nei giorni scorsi. «Pochi giorni fa, un attacco ha ucciso quattro bambini della stessa famiglia nella città di Al-Qastoun a Hama, nel nord della Siria. Dieci anni dopo l’inizio del conflitto in Siria, l’uccisione di bambini è diventata una costante. Troppe famiglie sono rimaste nel dolore per una perdita insostituibile: i loro figli. Niente giustifica l’uccisione di bambini» continua la nota”.

Il quadro tratteggiato da Dachan dà conto di un Paese in ginocchio, tutt’altro che pacificato, dove il terrorismo continua a colpire e un rais sanguinario continua a imperare, grazie al sostegno di  Russia, Iran e degli Hezbollah libanesi  E tutto questo nel silenzio della comunità internazionale.

Un silenzio di chi ha partecipato alla mattanza siriana. Di chi si è macchiato di crimini di guerra e contro l’umanità. Di chi ha praticato il terrorismo di Stato. I mandanti vanno ricercati a Washington, a Mosca, come ad Ankara o a Teheran. Nel caso americano c’è l’aggravante di chi ha mascherato quei crimini dietro la pretesa di difendere principi di libertà e valori umanitari. L’ipocrisia occidentale che ha negli Stati Uniti il suo caposaldo. E non da oggi. E non solo in Siria. L’elenco sarebbe lunghissimo e abbraccia tutto il secondo dopoguerra fino ai giorni nostri: Vietnam, Nicaragua, Cile, Iraq…E ora Siria. E’ il terrorismo di Stato a stelle e strisce. 

Globalist

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