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L’Ucraina rischia di essere una nuova Siria?


Dal 2015 la Russia conduce bombardamenti indiscriminati in Siria per sostenere le forze governative di Assad. L’Onu l’ha accusata di crimini di guerra e oggi in Ucraina sembra che Putin stia seguendo la stessa linea

di Anastasia Vlasova

Dal primo giorno dell’aggressione della Russia all’Ucraina si è spesso sentito dire che “rischia di essere una nuova Siria”. Il riferimento è all’intervento di Mosca nel paese mediorientale al fianco del presidente Bashar al-Assad e contro lo Stato islamico e le forze di opposizione al regime, iniziato ufficialmente nel 2015 ma in realtà concretizzato attraverso supporto logistico fin dalle prime fasi della primavera araba.

Bombardamenti indiscriminati anche attraverso l’utilizzo di armi non convenzionali, strage di civili, attacchi a ogni tipo di obiettivo, comprese scuole e ospedali. È così che Vladimir Putin ha messo in ginocchio roccaforti anti-Assad come Ildib e Aleppo, garantendo la sopravvivenza politica del suo alleato. Qualcosa di simile Putin lo aveva fatto anche nei primi anni del suo mandato con la guerra in Cecenia e l’assedio di Grozny. Oggi in Ucraina la sensazione è che si stiano usando le stesse modalità di intervento, in quella che è una filosofia bellica ben precisa: sfinire con una violenza senza freni l’esercito avversario e la popolazione che lo sostiene, per raggiungere i propri obiettivi territoriali e strategici.

Il ruolo della Russia in Siria
La Russia ha da tempo a cuore la Siria. Dagli anni Settanta può vantare due basi navali molto importanti nel paese, quella di Latakia e quella di Tartus, che le garantiscono operatività nel Mediterraneo. Ma più in generale i rapporti tra i due paesi sono sempre stati buoni anche da un punto di vista economico-commerciale e politico.

Quando nel 2011 è scoppiata la primavera araba e il regime di Bashar al-Assad ha messo in atto una violenta repressione contro la popolazione, da Mosca non hanno avuto dubbi sul lato in cui schierarsi. Mentre nelle sedi diplomatiche il veto russo al Consiglio di sicurezza dell’Onu ha impedito in diverse occasioni un intervento militare occidentale per rovesciare il governo di Assad, sui canali commerciali diretti a Damasco sono passate molte armi con cui aiutare le forze governative.

Quando però il regime di Assad si è trovato sul punto del collasso, anche per la presenza sempre più estesa del gruppo Stato islamico, Mosca ha deciso che era arrivato il momento di intervenire in modo diretto. Questa volta con il tacito consenso dell’Occidente, prima ostile ad Assad ma a quel punto ancora più ostile alle forze dello Stato islamico.

L’eventuale affermazione definitiva del terrorismo islamico in Siria è stato visto da Putin come un rischio anche per la Russia, dato che si sarebbe potuto creare un effetto domino nella regione con il coinvolgimento dell’area caucasica. La stessa primavera araba, nel senso di una rivolta di un popolo contro le restrizioni di un regime autoritario, è stato considerato da Mosca un pericolo nazionale, con il timore che nella madrepatria, di certo non un modello di diritti e libertà, potesse succedere qualcosa di simile.

La Russia ha poi scelto la via dell’intervento per occupare uno spazio geopolitico lasciato vuoto dall’Occidente, garantendosi una volta terminata la guerra anche un ruolo di primo piano nella ricostruzione del paese. Non è un caso che nel 2019 due compagnie russe hanno ottenuto il diritto esclusivo di estrarre gas in un’area molto ricca di risorse. Il 30 settembre 2015, dopo la richiesta d’aiuto formale presentata dalle autorità di Damasco a Vladimir Putin, è così cominciato l’intervento russo in Siria.

I crimini di guerra di Mosca
La Russia in questi sei anni e mezzo di guerra in Siria ha considerato minaccia terrorista tutto ciò che fosse in opposizione al regime di Assad. Il gruppo Stato islamico a seguito dell’intervento di Mosca ha in effetti perso sempre più terreno ed è di fatto divenuto una minaccia di poco conto nel paese. Ma ne hanno fatto le spese anche migliaia di civili che vivevano nelle sue roccaforti, oltre che le altre forze di opposizione al regime che nulla hanno a che fare con il jihadismo.

La Commissione di inchiesta Onu sulla Siria in un rapporto di marzo 2020 ha stabilito che la Russia ha compiuto crimini di guerra nel paese, in particolare nel 2019 e nei primi due mesi del 2020. La stessa conclusione a cui sono arrivate altre investigazioni indipendenti di realtà non governative come Amnesty International e Human Rights Watch. I casi più eclatanti e documentati sono quelli di Idlib, Aleppo e Hama. Mosca, al fianco delle forze governative di Assad, ha compiuto bombardamenti aerei indiscriminati contro obiettivi civili come ospedali, scuole, mercati, che hanno causato migliaia di morti oltre che milioni di sfollati.

L’offensiva più violenta si è avuta a Idlib, nel nord-est del paese. Qui Human Rights Watch ha documentato 46 attacchi aerei avvenuti nel giro di pochi mesi tra il 2019 e il 2020, che hanno causato 1.600 vittime civili e 1,3 milioni di profughi. In un solo mese sono state distrutte 28 scuole. In diverse occasioni è stato colpito il mercato della città, che in realtà era stato oggetto dei raid russi già nel 2015, con decine di morti.

Un’altra città dove le bombe russe hanno svolto un ruolo da protagonista è Aleppo, nel nord del paese. Là Mosca e le forze di Assad hanno usato la strategia definita “arrenditi o muori di fame”, che prevede di colpire indistintamente le forze militari nemiche e i civili innocenti attraverso un assedio costante sul territorio fino a metterlo completamente in ginocchio. Questo significa bombardamenti che si susseguono l’uno dietro l’altro, ma anche interruzione del supporto umanitario e della circolazione di cibo e medicine per la cittadinanza. “Rendere la vita intollerabile. Uccidere chiunque resti. Ripetere da capo fino a che il paesaggio urbano, ormai deserto, diventa tuo”: ecco come il New York Times ha definito la filosofia adottata da Mosca e dalle forze di Damasco.

Ad Aleppo e altrove sono peraltro state operative realtà come il Gruppo Wagner, un’azienda militare privata che ha stretti legami diretti con il Cremlino tanto da essere considerata alle dipendenze del ministero degli Esteri russo e che è nota per la brutalità della sua azione. In un video raccapricciante girato in Siria, il combattente russo Stanislav Dychko e altri uomini torturano e decapitano un disertore delle forze di Assad.

La Russia in Siria ha usato poi armi non convenzionali, vietate dalle convenzioni internazionali. È il caso delle bombe a grappolo, che non permettono una precisione chirurgica nell’attacco e quindi coinvolgono nella distruzione tutto ciò che sta intorno all’obiettivo che si vuole colpire. O di quelle al fosforo bianco, un’arma chimica che provoca ustioni letali bruciando tessuti molli e ossa fino a calcificarle. Infine risulta siano state usate anche le cosiddette bombe bunker-buster, capaci di penetrare nei sotterranei e distruggere anche ciò che non si vede in superficie. Qualcosa di cui la Russia di Putin si era già servita in modo massiccio nella guerra in Cecenia contro i separatisti islamici, soprattutto nell’assedio di Grozny del 2003. La città venne rasa al suolo con la solita strategia di Mosca per cui l’unico modo di vincere contro il nemico è far scomparire le sue roccaforti, vale a dire città intere, senza quindi fare distinzioni tra obiettivi civili e militari.

II parallelismo con l’Ucraina
Diversi analisti temono che oggi la Russia in Ucraina voglia replicare quanto fatto in Siria e in Cecenia. Dopo due settimane di conflitto, alcuni elementi sembrano supportare questa tesi. I bombardamenti russi appaiono indiscriminati nonostante il presidente Putin continui a ripetere di non volere colpire civili.

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha affermato che dall’inizio del conflitto le forze russe hanno colpito almeno 16 centri sanitari e il 9 marzo i raid russi hanno distrutto l’ospedale pediatrico di Mariupol. Decine di scuole hanno fatto la stessa fine, così come molti edifici residenziali. Bombe a grappolo e termobariche, le stesse con cui si è martoriata la Siria, sono state utilizzate a Kharkiv, colpendo anche un asilo, secondo Amnesty International. Anche qui poi sono operativi i combattenti del Gruppo Wagner, che già si sono contraddistinti per la loro brutalità. E Il tentativo di aprire corridoi umanitari è più volte naufragato per le violazioni di Mosca del cessate il fuoco, proprio come avveniva ad Aleppo quando le persone in fuga dalla città avevano denunciato di essere finite sotto il tiro dei proiettili.

A causa dell’inerzia della comunità internazionale in Siria, Putin ha avuto il via libera per intraprendere azioni brutali simili altrove”, ha denunciato l’attivista siriana Huda Khayti. E proprio in Siria per stessa ammissione di Putin sarebbero state sperimentate e perfezionate le stesse armi usate oggi dalla Russia in Ucraina. “La Russia sta ricorrendo allo stesso brutale programma che ha causato morti e sofferenze nelle sue campagne militari precedenti, dalla Cecenia alla Siria. Secondo gli analisti la violenza indiscriminata in corso in Ucraina evidenzia però un cambiamento tattico, con i civili che portano sempre più il peso degli attacchi multifrontali russi”, si legge su Foreign Policy. L’aggressione russa all’Ucraina rischia insomma di essere una nuova Siria. O forse anche peggio.

Wired

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