Browse By

Siria: bambini detenuti nei campi di un Paese in guerra da 12 anni

Figli di terroristi affiliati all’Isis o presunti tali: dalla Tunisia alla Gran Bretagna, centinaia di minori sono abbandonati al loro destino nelle prigioni a cielo aperto in Siria, un Paese in guerra da dodici anni. Tra incertezze politiche e problemi burocratici, sono vittime che interrogano il diritto internazionale.

di Asmae Dachan

Le Nazioni Unite hanno rivolto a inizio febbraio un appello alle autorità della Tunisia affinché si impegnino per rimpatriare sei bambine e ragazze di età compresa tra i 3 e i 22 anni che sono detenute in condizioni disumane nei campi di Al-Hol e al-Amarnah, nel nord-ovest della Siria.

La tragedia di queste giovani inizia nel 2014, quando la madre le rapisce per portarle in Siria. Da quanto emerso dalla denuncia dei responsabili Onu che stanno seguendo la vicenda, il marito sarebbe stato all’oscuro di tutto. La più grande delle figlie, data in sposa in Siria, ha partorito due bambine che oggi hanno meno di 5 anni. Tutte e sei sono state catturate nel 2019 dalle forze curde, dopo la caduta dell’Isis, e da allora sono state private ​​della libertà senza alcun procedimento legale che ne giustificasse la detenzione.

Una delle ragazze è ancora minorenne. La loro situazione medica è preoccupante, con tre delle ragazze ferite da granate prima della loro cattura nel 2019. Dovrebbero essere considerate prima di tutto vittime e trattate come tali.

Sono esposte a molti rischi, come quello di subire violenza di genere. Secondo quanto riferito, il campo di al-Amarnah, dove sono detenute la prigioniera più anziana e le sue due figlie, è sotto il controllo delle autorità turche e rimane inaccessibile alle organizzazioni umanitarie, compreso il Comitato internazionale della Croce Rossa. Il padre ha contattato il ministero degli Affari esteri, il ministero della Giustizia e il ministero dell’Interno per ottenere l’assistenza delle autorità tunisine per il loro rimpatrio, senza successo.

I Paesi Bassi rimpatriano e processano 5 donne per terrorismo
Le autorità olandesi hanno annunciato il ritorno di cinque cittadine e dei loro undici figli dal campo Roj, in Siria, con l’immediato processo alle madri con l’accusa di terrorismo, a causa della loro adesione all’organizzazione dello Stato islamico. Le cinque cittadine sono comparse davanti a un tribunale a Rotterdam il 7 febbraio, come annunciato dalla procura della Repubblica e da un rapporto diffuso dal portale Dw.com.

Il rapporto cita una portavoce della procura, Prishtjee van de Mosdijk, che afferma che le donne «compariranno davanti a un giudice olandese per la prima volta con l’accusa di terrorismo» e che i giudici hanno deciso di non rivelare l’identità delle donne, sulle quali decideranno in un’udienza a porte chiuse.

Foto: via Pixabay

Siria, bambini e donne detenuti: il fallimento del Regno Unito
Il 10 febbraio scorso il quotidiano britannico The Guardian ha pubblicato i risultati di un’indagine condotta da un gruppo misto di parlamentari, da cui emerge il fallimento delle politiche della Gran Bretagna rispetto alla gestione dei bambini e delle donne detenuti in Siria in quanto legati a uomini appartenenti all’Isis. Secondo l’inchiesta, l’inerzia del Regno Unito avrebbe favorito il traffico di esseri umani e lo sfruttamento anche dei minorenni da parte dei miliziani. L’indagine si è basata su molte prove, comprese quelle fornite da un gruppo di esperti legali e anti-tratta e altre fornite da attuali ed ex funzionari del governo britannico, nonché prove fornite da polizia, ex pubblici ministeri e consulenti per la sicurezza globale. Il rappresentante Andrew Mitchell ha dichiarato:

«L’approccio del governo ai cittadini britannici detenuti in Siria è moralmente riprovevole, legalmente discutibile e completamente trascurato dal punto di vista della sicurezza».

L’indagine ha concluso che il rifiuto del Regno Unito di rimpatriare circa venti famiglie britanniche ancora detenute ha aumentato il rischio di una nuova tratta, costringendo le donne a considerare altri mezzi per fuggire dai campi, mettendo la propria vita e quella dei propri figli nelle mani di contrabbandieri. Mitchell ha anche criticato la legge che prevede il ritiro della cittadinanza britannica ai cittadini considerati immeritevoli, sottolineando che donne e bambini non viaggiavano di propria spontanea volontà.

Bambini in guerra: cosa dice il diritto internazionale
Il diritto internazionale prevede che gli Stati e le altre parti di un conflitto armato non devono trattenere i bambini, nemmeno a scopo preventivo. A novembre 2019 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che punta alla protezione dei minori che si trovano in aree di conflitto e a contrastarne l’apolidia, tutelando il loro diritto di essere riconosciuti dal Paese d’origine come cittadini.

Nonostante la risoluzione, i Paesi europei continuano a praticare politiche diverse. Francia, Germania, Olanda e Svezia permettono il rientro solo di bambini rimasti orfani o le cui madri hanno rinunciato alla potestà genitoriale. Un caso a parte è rappresentato dalla Gran Bretagna, che ad esempio prevede il ritiro della cittadinanza alle persone coinvolte in operazioni di terrorismo, qualora abbiano anche una diversa cittadinanza di origine.

Osservatorio Diritti

Please follow and like us: