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Uccidendo il generale Soleimani Trump ha dichiarato guerra all’Iran…

«Forse Donald Trump non l’ha ancora capito, ma da venerdì gli Stati Uniti sono ufficialmente entrati in guerra con l’Iran» ironizza un preoccupato Pierre Haski, su France Inter, ripreso da internazionale. Dubbio non espresso la stupidità del personaggio: ma sarà almeno cosciente di quello che ha messo in piedi?

Il Rubicone di Trump che non è Cesare
Tutto ciò che è successo finora tra il presidente statunitense e la repubblica islamica è stato soltanto una premessa. Ordinando l’eliminazione del generale Qassem Soleimani, potente e carismatico capo dell’unità speciale Al Quds dei Guardiani della rivoluzione, Donald Trump ha oltrepassato il Rubicone.

1) Questo scontro non somiglierà a nessun altro del passato. Di sicuro non sarà una guerra frontale come l’invasione dell’Iraq del 2003, con le truppe dell’esercito più potente del mondo inviate in un paese iper-armato ma disorganizzato. Al contrario, sarà un conflitto multiforme il cui teatro rischia di essere l’intero Medio Oriente, se non oltre.

2) Il regime dei mullah a questo punto si gioca la sopravvivenza, e non si lascerà battere senza combattere. D’altronde è strutturato e organizzato per questo preciso scopo. Teheran vorrà vendicare l’eliminazione di un capo militare, ma soprattutto porterà avanti l’escalation contro gli Stati Uniti

3) Soleimani era una figura mitica della rivoluzione islamica, una sorta di Che Guevara iraniano, protagonista della vittoria dell’ayatollah Khomeini nel 1979 e diventato l’incarnazione del fervore e del messianismo della rivoluzione, anche oltre le frontiere iraniane.

4) La storia ci dirà se Trump, uccidendo il generale, avrà commesso l’errore che si era ripromesso di non fare, lanciare gli Stati Uniti in una di quelle guerre mediorientali senza fine contro cui si scaglia nei suoi raduni elettorali. Per qualche giorno Trump potrà vantarsi di aver eliminato un grande nemico dell’America. Gonfierà il petto e si farà passare per un grande stratega.

5) Ma cosa accadrà dopo? Gli iraniani metteranno in atto la loro risposta in Iraq, dove l’influenza di Teheran è profonda, in Arabia Saudita, dove gli interessi statunitensi sono enormi, e anche altrove, dove nessuno se l’aspetta.

Soleimani ovunque
«Lo abbiamo visto Siria, in Libano, in Yemen e naturalmente in Iraq. Lo abbiamo visto vittorioso tra le rovine di Aleppo che Bashar al Assad non avrebbe mai potuto riconquistare senza l’aiuto dei Guardiani della rivoluzione. Lo abbiamo visto a Mosca mentre parlava di strategia con Vladimir Putin. Ma soprattutto Soleimani ha manovrato per anni per aumentare l’influenza iraniana in Iraq, attraverso le stesse milizie sciite che in settimana hanno preso d’assalto l’ambasciata degli Stati Uniti».

«Il generale dipendeva direttamente dalla Guida suprema iraniana, l’ayatollah Khamenei, e non dal presidente Hassan Rohani, di cui tra l’altro criticava la moderazione. Dopo il fallimento dell’accordo sul nucleare è stato Soleimani a prendere il controllo della situazione, dunque si tratta di una perdita enorme per il regime».

Non soltanto Teheran vorrà vendicare l’eliminazione di un capo militare di primo piano, ma soprattutto porterà avanti l’escalation contro gli Stati Uniti. Perché è la sua unica via d’uscita.

La storia ci dirà se Trump, uccidendo il generale, avrà commesso l’errore che si era ripromesso di non fare, ovvero lanciare gli Stati Uniti in una di quelle guerre mediorientali senza fine contro cui si scaglia incessantemente nei suoi raduni elettorali. Per qualche giorno Trump potrà vantarsi di aver eliminato un grande nemico dell’America. Gonfierà il petto e si farà passare per un grande stratega.

Ma cosa accadrà dopo? Gli iraniani metteranno in atto la loro risposta in Iraq, dove l’influenza di Teheran è profonda, in Arabia Saudita, dove gli interessi statunitensi sono enormi, e anche altrove, dove nessuno se l’aspetta.

Donald Trump, a quel punto, non avrà altra scelta se non continuare anche lui sulla via dell’escalation. Dopo aver colpito il nemico alla testa, non potrà certo fare un passo indietro. La vittoria di oggi rischia di durare poco.

Dopo Suleimani guerra o caos?
Gli Stati Uniti consideravano Suleimani un nemico da diversi anni, ritenendolo responsabile di molte delle crisi del Medio Oriente e di centinaia di morti americani. Nessuno degli ultimi due presidenti che avevano preceduto Donald Trump, George W. Bush e Barack Obama, aveva però dato l’ordine di assassinare Suleimani. Non l’aveva fatto neppure Israele, storico nemico dell’Iran e con una lunga tradizione di omicidi mirati. Uccidere Suleimani, si pensava, avrebbe potuto provocare l’inizio una nuova guerra. Ma ora Trump decide senza nemmeno passare dal Congresso statunitense e sventola la bandiera Usa.

Le conseguenze dell’attacco statunitense difficili da anticipare per l’imprevedibilità della politica estera di Trump e per la chiusura del regime iraniano. Due misteri a confronto. Decisiva la reazione dell’Iran, se reagire con forza aumentando la tensione, oppure di compiere una ritorsione più limitata, di modo da non rischiare un conflitto.

Altra invenzione trumpiana, gli Stati Uniti hanno ucciso quello che loro consideravano un terrorista, che però in Iran era un esponente importante del paese (come se l’Iran avesse ucciso un ministro del governo statunitense, l’osservazione corretta di Elena Zacchetti sul Post)

Suleimani non era insostituibile
Ellie Geranmayeh, esperta di Iran per il centro studi European Council of Foreign Relations, ha scritto che Suleimani era molto popolare nel sistema militare iraniano, ma insieme a lui erano stati addestrati diversi altri soldati, altrettanto in grado di ricoprire quel ruolo: il suo posto verrà preso da Esmail Qaani, vice di Suleimani, meno carismatico del suo predecessore ma con una significativa esperienza sul campo. Secondo Geranmayeh, e secondo molti altri analisti, pensare che l’uccisione di Suleimani possa indebolire l’azione delle Guardie rivoluzionarie in Medio Oriente è illusorio.

L’analista Narges Bajoghli, che da molto tempo studia il funzionamento delle Guardie rivoluzionarie iraniane: «Gli Stati Uniti hanno appena ucciso una figura popolare in molti settori, una figura che era anche un funzionario statale dell’Iran. Il suo è stato un assassinio altamente simbolico. Il problema è che il simbolismo ha il potere di muovere la gente», quindi di provocare reazioni violente.

Yaroslav Trofimov, giornalista del Wall Street Journal esperto di Medio Oriente, ha scritto che i leader iraniani non sono interessati a un grande conflitto militare convenzionale, specialmente uno in cui siano coinvolte navi e aerei da guerra. L’Iran può contare infatti su buone forze di terra, ma lo stesso non si può dire per la sua aeronautica e la sua marina, che sono molto obsolete e che non sarebbero in grado di tenere testa alla superiorità militare degli Stati Uniti.

Ritorsioni iraniane quali?
Non guerra aperta ma peggio. «l’Iran potrebbe usare attacchi informatici e terroristici, oppure i gruppi suoi alleati in diversi paesi del Medio Oriente – in particolare Iraq e Libano – per attaccare direttamente i militari statunitensi e quelli dei paesi loro amici». E per capire cosa potrebbe essere, basta tornare indietro di qualche giorno, all’assedio dell’ambasciata americana a Baghdad, che è stato semplice atto dimostrativo.

Solo Stati Uniti e Iran?
«Pensare che l’uccisione di Suleimani sia una questione che riguarda solo Stati Uniti e Iran sarebbe un errore, e non solo perché Suleimani è stato ucciso a Baghdad, ma anche perché insieme a lui sono stati uccisi alcuni comandanti delle milizie irachene vicine all’Iran, e dal 2018 inquadrate all’interno dell’esercito iracheno. Uno dei risultati possibili di questa situazione è che un’eventuale nuova guerra venga combattuta in terra di altri, una terra amica sia degli Stati Uniti che dell’Iran: cioè in Iraq, con ripercussioni anche in Libano», la giusta puntualizzazione di Elena Zacchetti.

Iraq e Libano adesso?
In Iraq le forze statunitensi hanno continuato ad addestrare i militari locali nonostante la massiccia presenza di forze anti-americane, e in Libano gli americani hanno addestrato e finanziato l’esercito nazionale, alleato con Hezbollah, gruppo radicale sciita considerato “terroristico” dal governo statunitense. «Con l’uccisione di Suleimani, ha scritto Trofimov sul Wall Street Journal, questo equilibrio potrebbe saltare e Iraq e Libano potrebbero essere costretti a schierarsi da una parte o dall’altra». Situazione modile con tensioni interne nei due Paesi citati, ma poi e peggio, Trump, e la sua politica estera che si continua a capire poco.

«La difficoltà di dire con qualche certezza quali saranno le conseguenze dell’uccisione di Suleimani non dipende solo dalla complessità della situazione attuale, dal numero di paesi coinvolti e dalla chiusura del regime iraniano: dipende anche dalla completa imprevedibilità di Trump in politica estera».

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