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Il futuro e noi. Il tabù della cittadinanza ai minori stranieri: i ragazzi ci guardano

di Diego Motta

L’Italia continua a essere un Paese in cui la cittadinanza ai figli di genitori stranieri nati e cresciuti nei nostri quartieri, che hanno studiato nelle nostre scuole, resta un tabù

I ragazzi ci guardano e non capiscono. Non capiscono perché l’Italia continui a essere un Paese in cui la cittadinanza ai figli di genitori stranieri nati e cresciuti nei nostri quartieri, che hanno studiato nelle nostre scuole, resti un tabù. Un tabù che resiste da oltre 30 anni e che nessuno è mai riuscito a infrangere. Nel frattempo, le classi dei nostri figli sono diventate, volenti o nolenti, laboratori di culture diverse, tra progetti che hanno saputo precorrere i tempi, brusche frenate, errori e imperfezioni. Il mondo ha bussato alla porta delle nostre case, delle nostre scuole, dei nostri campi da calcio, dei nostri oratori. Ce lo ricorda il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati, che ha segnato tutto il 2023, diventando emergenza silenziosa. Sono arrivati in tanti, da soli e si sono rivolti ai servizi sociali dei nostri Comuni, finendo per ingrandire ancora di più il popolo dei senza patria. Vogliamo farci carico adesso di un milione di bambini e adolescenti rimasti nel limbo? Noi pensiamo che sia giunto il momento di tornare a parlare di cittadinanza agli stranieri, riprendendo il filo di una campagna già lanciata su queste pagine nel biennio 2016-2017.

Il momento è poco propizio, dal punto di vista politico. Non esistono maggioranze parlamentari interessate all’argomento. Tutto vero. Ma tutto questo conta fino a un certo punto. Spesso è la realtà ad accelerare le cose, quando meno ce lo aspettiamo. L’esempio più lampante, sul versante immigrazione, si è avuto proprio in questa legislatura con la richiesta di regolarizzazione di centinaia di migliaia di lavoratori, nel settore domestico e non solo. Un’operazione così sorprendente, che a molti è parsa una “sanatoria” di fatto.

Una presa d’atto dei mutamenti intervenuti nel nostro contesto sociale, a partire dalla constatazione che tanti nuovi mestieri, in particolare nel campo dell’assistenza domiciliare, sono quasi totalmente affidati a persone straniere. Lo stesso sta succedendo, più silenziosamente, in interi comparti dell’industria italiana che hanno assoluto bisogno di manodopera immigrata. All’improvviso, è come se avessimo aperto gli occhi per riconoscere che il mondo che abbiamo davanti non è più quello di una volta e non si può più stare nei nostri (rigidi) schemi ideologici.

Risulta difficile, ad esempio, parlare di un diritto di sangue a essere italiani, nel 2024. Si diventa italiani per “naturalizzazione” e anche questo termine oggi appare un po’ stonato. Si guardi la realtà, allora, si mettano da parte le false paure su presunte sostituzioni etniche in atto e si affronti il tema con pragmatismo. Questo vale per la destra di governo chiamata finalmente a un salto di qualità sul tema, il solo in grado di coniugare concretamente legalità e sicurezza, come chiedono alla maggioranza diversi governatori della stessa parte politica che vedono quel che accade sui loro territori, e vale per la sinistra, che ha pagato per anni l’approccio ideologico sulla materia, non riuscendo a trovare argomenti bipartisan convincenti su un argomento che tutto è, tranne che divisivo.

I ragazzi che ci guardano sanno invece che non esistono differenze. Perché dunque non individuare le soluzioni chieste a gran voce da decenni dalle seconde e terze generazioni di migranti? Come raccontiamo oggi nel forum ospitato dal nostro giornale, i tempi sono maturi. Non è più questione di formule, è questione di civiltà.

Avvenire

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