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In Iran è in corso una rappresaglia contro i curdi. A colpi di impiccagione

di Riccardo Noury

Il 2024 in Iran è iniziato com’era finito l’anno precedente, con una serie impressionante di impiccagioni. A gennaio, secondo Iran Human Rights, sono state oltre 70. Sempre più spesso, sono gli appartenenti alle minoranze etniche a finire col cappio al collo: tra questi, i curdi.

Il 29 gennaio, nella prigione di Karaj, ne sono stati impiccati quattro. Mohsen Mazloum, Pejman Fatehi, Vafa Azarbar ed Hezir Faramanzi erano stati arrestati il 22 giugno 2021 e accusati di “inimicizia contro Dio” e spionaggio in favore di Israele. Dopo mesi di isolamento, seguendo una prassi consolidata, gli organi d’informazione di stato avevano diffuso i video delle loro “confessioni”, ovviamente forzate.

Per tutta la durata della detenzione, i quattro prigionieri non avevano potuto incontrare i loro avvocati. I familiari avevano potuto vederli, per un ultimo saluto, solo il giorno precedente l’esecuzione.

Neanche una settimana prima, il 23 gennaio, era stato impiccato Fahrad Salimi, arrestato nel dicembre 2009 nella provincia dell’Azerbaigian occidentale insieme ad altri sei curdi, tutti accusati di appartenenza a “gruppi salafiti”. In una serie di lettere fatte uscire dal carcere, i 7 uomini avevano denunciato di essere stati torturati per estorcergli “confessioni”. In particolare, Salimi aveva scritto che aveva ricevuto costanti pressioni e minacce per autoincriminarsi e per rinunciare all’avvocato di sua scelta.

Nel giugno 2018 la sezione 26 del tribunale rivoluzionario aveva condannato a morte i sette imputati per “corruzione sulla terra”. La Corte suprema aveva annullato il verdetto per mancanza di prove rimandando il caso alla sezione 15 del tribunale rivoluzionario, che aveva emesso una nuova condanna a morte.

Entrambi i processi erano stati clamorosamente irregolari: durante le indagini gli imputati non avevano potuto avere colloqui con gli avvocati, questi non avevano potuto prendere la parola durante le udienze e le “confessioni” estorte con la tortura erano state ammesse e usate come prove della colpevolezza.

Due dei condannati a morte – Ghasem Abesteh e Ayoub Karimi – erano stati impiccati nel novembre 2023.

Il 3 gennaio 2024 Salimi e altri tre prigionieri avevano iniziato lo sciopero della fame per protestare contro l’impiccagione di un terzo coimputato, Davoud Abdollahi, avvenuta il giorno prima. Il 21 gennaio, presagio dell’imminente esecuzione, Salimi era stato trasferito nella sezione di isolamento della prigione di Karaj.

Gli altri tre prigionieri ancora superstiti – Anwar Khezri, Kamran Sheikheh e Khosrow Basharat – attendono il loro destino, che appare purtroppo segnato.

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