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Etiopia. Tigrai 2024, la fame dimenticata: così muoiono in silenzio mamme e neonati

di Paolo Lambruschi

Nella regione, devastata da due anni di conflitto, mancano cibo e medicinali. Effetto degli scontri, della crisi climatica e della corruzione delle autorità federali e locali.

La fame negata e dimenticata del Tigrai ha il viso di un neonato scheletrico tutto occhi di appena cinque mesi con il ventre gonfio per la malnutrizione. Gli hanno salvato la vita a stento perché nella regione settentrionale etiope devastata dalla guerra civile dal novembre 2020 al novembre 2022 mancano cibo e medicinali per effetto della guerra, della crisi climatica e della corruzione della autorità federali e locali, che rivendono gli aiuti al mercato nero, fatti che ad agosto scorso hanno indotto il Programma alimentare mondiale a sospendere per alcuni mesi le distribuzioni con esiti ulteriormente disastrosi. Questa foto di un volto innocente e sofferente, salvo solo perché la madre è riuscita a raggiungere uno dei pochi ospedali scampati a due anni di saccheggi e distruzioni totali, mostra la realtà cruda del Tigrai agli inizi del 2024, che secondo il capo della amministrazione regionale ad interim Getachew Reda ricorda la grande fame del 1984 voluta dal regime comunista del Derg, quella che portò il mondo dello spettacolo a mobilitarsi per raccogliere fondi con il mega concerto Live aid.

Un’immagine che da sola smentisce il premier etiope Abiy Ahmed, quello che per i primi sei mesi di guerra civile negò la presenza sul suolo tigrino, cioè etiope, delle truppe eritree macchiatesi di stragi e violenze indicibili contro i civili. Abiy nei giorni scorsi aveva infatti negato che ci fossero stati morti per fame da settembre in Tigrai e nella vicina regione dell’Amhara, come denunciato dai responsabili delle principali organizzazioni umanitarie presenti nella regione. Ieri Oxfam ha rincarato la dose affermando che oltre 3 milioni e mezzo di tigrini sono sull’orlo di una carestia causata dagli effetti della guerra che ha già provocato 600 mila morti e dai mutamenti climatici. A rischio di morte per malnutrizione sono anzitutto le donne incinte, i bambini piccoli e gli anziani.

Notizie confermate anche da fonti umanitarie con cui siamo in contatto. Inoltre i conflitti ancora in corso nel Tigrai occidentale e in alcune parti della regione dell’Amhara hanno costretto oltre 1,5 milioni di persone a fuggire, lasciando circa 9,4 milioni di persone nell’Etiopia settentrionale (circa un abitante su tre) in condizioni di fame estrema. La siccità, la carenza di bestiame e la scarsità dei raccolti in una regione prevalentemente agricola stanno portando allo stremo i sette milioni di tigrini, provati da due anni di assedio e blackout comunicativo condotto da Addis Abeba. In queste condizioni si stanno moltiplicando nell’indifferenza globale i casi di mortalità materno infantile. Mancano i farmaci essenziali e le incubatrici, o medici, da tre anni senza salario, stanno lasciando il Tigrai. In questa disperazione ci sono anche segni di speranza. Infatti sono partiti i programmi di riabilitazione dei mutilati nell’ospedale di Adua e da tre mesi le autorità regionali e la diocesi cattolica di Adigrat hanno firmato un protocollo con la fondazione del medico congolese Denis Mukwege, il “dottore che ripara le donne” per assistere le decine di migliaia di vittime degli stupri etnici perpetrati soprattutto dalla soldataglia eritrea.

Incombono, però, nuovi scenari di guerra su tutto il Corno fino al Mar Rosso. Almeno 220 mila persone sono rimaste nelle forze di difesa del Tigrai pronte a riprendere a combattere contro gli eritrei, stavolta a fianco dell‘esercito etiope in un clamoroso ribaltamento di alleanze. Gli eritrei sono stati chiamati a invadere il Tigrai da Abiy 4 anni fa e ora occupano diverse zone al confine. Il regime di Asmara non ha accettato l’accordo di pace di Pretoria e sostiene i ribelli Amhara contro il governo federale etiope. In più il dittatore eritreo Isaias Afewerki ha respinto le rivendicazioni di Addis Abeba per un accesso al Mar Rosso e nella disputa apertasi con la Somalia dopo che Abiy ha affittato il porto di Berbera e 30 chilometri di costa nella regione indipendentista del Somaliland, si è schierato con Mogadiscio.

Dicono in Tigrai che ogni generazione sia destinata a conoscere la guerra. Presto l’incubo potrebbe tornare.

Avvenire

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